"Orizzonti di gloria": Palazzi, trincee e la modernità secondo Kubrick
- bruno
- 2 dic 2015
- Tempo di lettura: 18 min

In genere questo film viene lodato ma sbrigativamente giudicato come un film antimilitarista. Non c'è dubbio che il film esprima questa posizione: ma c'è molto di più.
Una analisi appena appena attenta ai dettagli più grossolani consente di vedere altre 'figure' particolari con cui il regista realizza una rappresentazione critica della modernità nel suo complesso. Non solo la guerra come motivo polemico, ma la guerra come scena che mette in scena in modo concentrato le contraddizioni della società europea dell'inizio 900.
Basta ,ad esempio, mettere sotto il vetrino gli elementi spaziali in cui si svolge la storia, per scoprire tutta una serie di 'significati' ideologici che possono essere estremamente utili allo spettatore di oggi per capire concetti quali 'massa','progresso', 'diritti', 'totalitarismo'.
MLXL
LUOGHI
Trincee:
lo sporco della vita, sia in senso materiale che in senso socio antropologico.
La scena ‘materiale’ è ovviamente realistica, nella sua composizione di buche, legname, tende, divise,elmetti, cannoni, scoppi, polvere, fango, letti a castello,fucili,poveri utensili …: il fallimento della blitzkrieg comporta l’innovazione della guerra di posizione, della costruzione di ‘strade’ e ‘case’ provvisorie, con materiali adeguati al cambiamento e alla resistenza. Poca cura allo stile e tutta per il risultato: scamparla, continuare a vivere in attesa, chissà, del vincere ..
Le persone che vi stanno rappresentano una doppia profondità: tutti sono in divisa, ma sono tutti differenti come individui. La superficie mette tutti allo stesso livello: non nel senso che si è uguali (come recita il motto della rivoluzione dell’89)ma nel senso che si è sottomessi tutti ad un'unica Legge (la legge del Padre codificata per iscritto e materializzata figurativamente nelle divise degli ufficiali portatori stratificati di Volontà e Verità che emergono dal Nulla dell’Invisibile per parlare attraverso le bocche e le decisioni dei vari capi). E questo sembra promettere la fine dell’ansia da competizione: una dimensione fissa di Potere in cui non si discute, ma si esegue. Una dimensione di routine, in cui il Verbo è sempre già stato detto, in cui le decisioni non spettano mai al singolo, ma arrivano e si eseguono. Una stato insomma di perfetta economia energetica. Ma esistono ovviamente ,sotto le divise, le differenze. Quelle differenze portate in vista dalla cultura moderna come ‘diritto’. Ma qui destinate al nascondimento: le divise difatti corrispondono alla manifestazione più evidente della prevalenza della cultura dei numeri, della quantità che prevale sulla qualità. Si è contati come fanti, come vivi, come morti. Si è percentuale di qualcosa: ovvero si è assimilati ad altre esistenze differenti con una brutale cancellazione delle parti che non collimano. K. dà spazio a questa dimensione profonda della trincea, presentando – esemplarmente – tipologie di persone che si differenziano sul piano delle emozioni, delle origini,delle idee, delle storie, della relazioni, della consapevolezza, dei progetti .. E’ la messa a fuoco della mescolanza di cui è costituita la ‘massa’ (concetto appena elaborato agli inizi del 900): da lontano sembra senza forma, senza distinzioni; ma da vicino vi riconosci persone e passioni diverse. I primi piani cui ricorre K. vogliono proprio immettere lo spettatore in questa dimensione per lo più trascurata dalla storiografia nazionalistica in cui si parla di ‘popolo’ come un tutt’uno che – nei fatti – non esiste.
Lo sporco della trincea è quindi qualcosa di più che un dato materiale: è un dato antropologico. Ogni gruppo, ogni società è una forma in continua tensione tra l’omologazione (che crea ‘ordine’, compattezza di gesti e sentimenti) e la differenziazione (che crea ‘conflitto’, individui con passioni e pensieri diversi).
Il totalitarismo cerca appunto, dopo questa guerra, di annullare la tendenza alla differenza: e lo fa con la violenza delle leggi che vietano la differenza, ma anche con l’accentuazione antropologica delle emozioni, dello spostamento sempre più accentuato dell’individuo verso la percezione del reale come ‘qui e ora ‘ (passioni quindi) e non come ‘là e in altro tempo – passato e futuro).
Palazzo:
il “pulito” della vita, sia in senso letterale che in senso antropologico. si tratta di testimonianze della civiltà modern che dà luogo alla contemporaneità, quindi anche alla guerra, alle guerre.
Enormi saloni, stucchi, specchi, tavoli e sedie istoriate, insomma “lusso” nel senso originario della parola latina , cioè eccesso, spreco (nel linguaggio filosofico contemporaneo è la jouissance, il godimento che deriva proprio dall’esagerare).
E inoltre gustosi cibi e danze e balli: insomma le ‘squisite’ qualità che rendono la vita umana ‘civile’. Squisito etimologicamente significa proprio ‘cercato fuori da..’, tirato fuori da, selezione dunque: il che comporta implicitamente (per default) proprio una operazione di esclusione, di eliminazione, di sottrazione. Un locus amoenus, un hortus , un paradeisos per rifarci ai concetti che preesistono a questi luoghi concreti e li costruiscono effettivamente nel corso della storia. Vivere sicuri e soddisfatti, liberi di soddisfare in modo ridondante’ i bisogni è l’obiettivo che si dà da sempre l’uomo e che l’uomo moderno (homo faber) ha effettivamente messo in pratica con i movimenti culturali (rinascimento, rivoluzione scientifica, illuminismo, positivismo) e materiali (rivoluzione industriale, rivoluzioni politiche e sociali): e il palazzo settecentesco con il suo sfavillio di ratio, di arte e di festa è davvero l’icona di questa impresa moderna.
Solo che nel film abbiamo personaggi diversi da quelli che l’abitavano nel 700. Non i nobili in raso e coulotte, non dame con parrucche e cipria, ma generali e signore. La storia dal 700 è andata avanti e ha sostituito nel ruolo di potere i debosciati e parassitari nobili della tradizione medievale con i tecnici che sono capaci di risolvere i problemi, con gli esperti che dal 700 in poi sostituiscono l’improvvisazione e l’insipienza dei sovrani con tecniche di conoscenze e problem solving che isolano i problemi e li risolvono in modo efficace ed efficiente.
I tecnici ovviamente nella società civile di pace sono altri che i militari: ma in questa che è stata definita la “grande guerra” sono loro i tecnici per eccellenza. Sono loro gli esperti cui è affidata la cura delle operazioni, la loro soluzione.
La messa in scena delle vite dei generali nel Palazzo comporta una doppia implicita critica
La società è diventata preda della logica militare[1] . Questa è del resto l’analisi corrente della guerra del 14 -18 da parte degli storici: è la guerra totale, che di fatto apre le porte al totalitarismo. I generali ai posti di decisione in nome di tutto il paese sono l’estremo portato dell’utopia dell’homo faber: il controllo della società (della storia quindi) attraverso i principi della razionalizzazione e dell’utilitarismo. In una parola attraverso la tecnica (come affermano imperiosamente i positivisti del secondo 800). La distinzione settecentesca tra ‘società civile’ e ‘società legale’ viene annullata per dare efficienza alla società legale. Viene distrutta ogni forma settecentesca di “diritto” (civili, politici) a favore della pragmatica necessità di risolvere i problemi ‘qui e ora’. Si riduce cioè la stessa prospettiva antropologica entro cui valutare le cose da fare: mentre l’atteggiamento umanistico e illuministico dispone il singolo fatto all’interno di una cornice illimitata (non finita) quale è quella - del tutto ‘artificiale’ – di ‘humanitas’ (che si esprime attraverso parole come universalità, fraternità, uguaglianza,linertà), l’atteggiamento positivistico del tecnico dispone il fatto all’interno di un limitatissimo contesto (rifiutando accuratamente prospettive lontane: conta solo il risultato, ‘conta solo vincere’!).
Finita la guerra, imparata la lezione, gli stati proveranno in forme diverse a ripetere l’esperienza, aggiungendo allo strumento privilegiato della forza quelli della ‘comunicazione’ (del resto già presenti nella seconda parte del film, quando nel corso del processo si assiste proprio alla manipolazione dei fatti attraverso le ‘parole’ concesse’ o ‘non concesse’ ai personaggi in conflitto!)
La società ‘perfetta’ è tale solo grazie all’esistenza di ‘rifiuti’: le trincee sono il pendant necessario perché si realizzi l’ordine perfetto del Palazzo. La miseria,le rinunce, le difficoltà di cibo, di igiene, il rischio di chi vive nel fango sono proprio i mezzi che consentono ai generali di vivere bene.
Passando dal particolare della guerra del ‘14 all’antropologia e alla storia,di fatto qui Kubrik mette in evidenza il fatto che è l’asimmetria (non l’eguaglianza tanto dichiarata nei discorsi ) la sconvolgente e necessaria condizione di un ‘ordine’ nella società moderna (o di ogni epoca?). E mostrando al rallentatore certe scene del Palazzo K. vuole mettere in chiaro i meccanismi indicibili che regolano queste vite eleganti: fideismo cieco, ma soprattutto cinismo[2]
TEMPI
Si confrontano le diverse maniere di percepire e vivere il tempo.
Da un lato gli ufficiali ,dall’altro la truppa.
La linearità
I primi si muovono entro una prospettiva lineare: l’esistenza corrisponde all’azione. E l’azione è tale se finalizzata alla risoluzione di un problema. In senso lato è la visione laica della modernità, la visione dell’homo faber: l’uomo sta sulla terra per ‘fare la storia’, per modificare le situazioni in cui si trova per natura, in modo da migliorare la sua condizione a livello dei bisogni fondamentali (sussistenza,sicurezza, libertà / potere). Non si tratta di fare la volontà di Dio, di rimandare i problemi al trascendente (religione) ma di agire qui e ora (Machiavelli, Hobbes, Locke ..). L’uomo così inteso è però una astrazione universalistica che non può che verificare l’impossibilità di realizzare i progetti in modo semplice. Sulla sua strada trova sempre ostacoli, ovvero in particolare, dei nemici. Il quadro si delinea meglio entro questa prospettiva: c’è una frontiera culturale che divide gli uomini in Noi e Loro: ovviamente i buoni e i Cattivi rispettivamente.
Nel film i cattivi sono invisibili: sono appunto al di là della frontiera, che qui coi reticolati rappresenta simbolicamente la maniera dura e violenta di segnare i bordi che costruiscono l’ordine interno ai gruppi sociali. La nazione (la patria) di cui si parla nella storia è in effetti la comunità che si dà un nome e che vuole ,nella sua astrazione, proporsi come Madre dei cittadini (già sudditi). In Francia in effetti c’è stata una rivoluzione (1789) da cui è davvero uscito un modo diverso di sentirsi Popolo, uniti da partecipazione alle decisioni e dalla condivisione degli interessi: e anche un esercito che in modo inaspettato si regge in gran parte su strutture bottom – upo, basate sul merito (cioè sulla effettiva capacità). E la Patria in questione nasce dalla necessità di difendere uno stato di cose in evoluzione (la repubblica, lo stato di diritto) contro l’assolutismo e contro l’attacco degli altri paesi europei. Ma adesso, in questa guerra, pur se si tratta ancora di repubblica, la situazione si è modificata: l’esercito è diventato una struttura burocratica, un potere all’interno dello stato di diritto. Un vero e proprio ceto che ha suoi scopi (sussistenza, allargamento del potere) non sempre corrispondenti a quelli della res publica. Così nel film si sceglie di rappresentare la concezione della storia degli ufficiali limitando il focus su una singola situazione ,per così dire, tecnica: un attacco (uno tra i tanti) ad una postazione nemica.
La linearità della visione del tempo è chiara: ma è appunto ristretta ad uno spazio tempo preciso, tanto da non mettere minimamente in chiaro quali sono i fini da raggiungere,una volta che l’azione si sia conclusa. In questo ri respira in buona parte un’atmosfera ‘antica’: in fondo il combattimento, nella società tradizionale, era una sorta di sport, l’occaione in cui il maschio rivelava la sua virtù. Certo c’erano i nemici, c’erano gli ideali: ma quel che contava era proprio lo sfoggio di coraggio e generosità. Il senso dell’azione era in effetti ‘ciclico’. Il duello ,per intendersi, aveva esattamente questa dimensione temporale. Proprio come oggi può essere una partita di qualunque sport: ci si batte, si vince o si perde, per poi tornare a rimettere in discussione il tutto. Ciclicamente. È il duello in sé che dà senso all’azione, meno il risultato. Parole chiave erano quindi ‘coraggio’, ‘nobiltà’, ‘generosità’, parametri che consentivano di valutare davvero le persone.
Tra gli ufficiali ci sono però atteggiamenti differenziati rispetto al concetto di successo o scopo :
per il generale Broulard ha c’è la necessità di convincere l’opinione pubblica (altra componente centrale dello stato laico borghese), insomma per dirla - con le parole di oggi - la ‘comunicazione’
per il generale Mireau, è (nonostante le ‘belle’ dichiarazioni iniziali a favore dei ‘suoi’ soldati) la ‘carriera’
per il maggiore Dax è semplicemente da un lato la ‘buona’ esecuzione dell’ordine, dall’altro la ‘cura’ nei confronti dei suoi sottomessi .
Insomma la visione lineare vede come termine finale o il potere o la res publica: i primi due , che sono ufficiali di carriera, cioè di apparato burocratico, di fatto usano una istituzione pubblica (l’esercito nazionale)per soddisfare i loro interessi privati.
Il più alto in grado ha come problema il controllo dell’opinione pubblica che in situazioni di crisi vuole avere la possibilità di verificare - come si dice oggi – l’efficienza dell’istituto,la sua funzionalità, e con la stampa è facile avere ragione se si sbandierano attacchi e successi (anche se parziali: la stampa oramai è fatta soprattutto di quotidiani..). il prezzo da pagare (la morte di molti soldati) è calcolato in kmopdp estremamente razionale: l’io cartesiano che alberga al centro dell’ideologia del progresso moderno è convinto che il progresso sia realizzabile con i suoi costi ; e la valutazione dei costi in uno stato di grandi dimensioni (come oggi all’interno delle corporation della globalizzazione ) si fa sulla base del principio matematico delle percentuali piuttosto che della qualità delle vite dei singoli. No si preoccupa nemmeno dei singoli: dalla sua posizione di comando (Palazzo) non pratica le trincee, non vede soldati (se non i suoi addetti): sono appunto solo numeri,pedine da spostare e da perdere come in una partita a scacchi. Nessuna emozione, solo ratio utilitaristica dell’efficacia.
L’altro generale dopo il primissimo impatto, si rivela attento unicamente al successo per l’avanzamento in carriera: è anche lui dotato di una lucida razionalità, di un cinismo che valuta i soldati come pedine. Ma per lui la situazione è meno indolore: i soldati li vede, pratica anche a volte solamente ,la trincea. Quindi per lui davvero si tratta di vincere la sfida ‘etica’ del riconoscimento (levinas) che nasce dal volto: per lui i soldati prima di diventare numeri sono davvero persone. Solo che quando si avvicina loro li tratta in maniera formale, ovvero secondo un protocollo fisso, che nella cecità cartesiana non ammette se non una soluzione, e che considera sbagliato ogni comportamento che non rientra esattamente nel protocollo. Insomma un vero tecnico, malato di tecnicismo, che entra nella storia per fare la storia attraverso dei protocolli che non prevedono se non una lineare applicazione e che non conoscono retroazione. È fisso sulla sua convinzione, fino all’accecamento. E usa il potere in modo furioso, incapace di ragionare in termini di cooperazione, empatia, cura. Il narcisista che è auto centrato e non ammette se non la propria affermazione: per lui l’Altro è semplicemente un ostacolo. E l’Altro non è solo il nemico invisibile che sta al di là della trincea: ma il compatriota che non rientra perfettamente nelle mappe della sua mente formata alle scuole militari, in ambienti asettici, dove vige un codice e uno solo. Distruttività quindi del Sé nucleare, per usare il modello di Damasio.
Dax è un militare d’occasione: richiamato per la guerra, ma nella vita normale avvocato. È la situazione tipica dell’esercito della contemporaneità, l’esercito di leva, in cui dei civili si trovano a fare il soldato, ma si portano dietro i valori e i rtmi e le passioni della vita precedemte. E dax, l’avvocato, ben conosce la differenza tra doveri e diritti, tra protocolli e distinzioni. L’avvocato sa che anche la legge va interpretata, va immessa in una cornice perché assuma senso. non si trtta solo di eseguire ma appunto di ‘dire’ il suo significato in rapporto alle concrete situazioni. La legge è un principio, un’astrazione , che va sempre a fare i conti con la specifica diversità delle cose che cambiano.
In altre parole per Dax la storia ha altri scopi che tenere a bada i media o realizzare la propria ascesa personale: la storia, se esiste il progresso , consiste nel creare un futuro migliore, una società più giusta, uno stato che si preoccupi di tutti i suoi membri (libertè, fraternitè, egalitè). E lui sa che il suo ruolo di comando non è altro che un ruolo di responsabilità verso i subordinati: è lui che deve saper scegliere in situazione quello che occore. È lui che si prende la responsabilità di fare scelte se possibile, ma che calcola ogni volta i costi e i ricavi delle soluzioni, attento alle vite individuali dei suoi soldati, alla vita del popolo.
In effetti c’è un altro ufficiale (un capitano) che non capisce questo ruolo e porta con sé ,della vita civile, un atteggiamento borghese di miseria morale, di interesse privato. Alcool, invidia, provocano solo incapacità di vedere lontano: guarda in piccolo solo al presente,non porta i suoi uomini all’assalto, e determina come effetto la decimazione e,in ultima analisi, la morte per fucilazione di tre soldati del tutto innocenti.
La burocrazia contro il privato. Il totalitarismo contro l’umanesimo.
Gli ufficiali che si mostrano attenti solo alla dimensione del presente (alle emozioni di vario tipo, perché anche il calcolo è in fondo un sentimento di soggettività meschina) nella loro assolutezza avviano al facile sviluppo del totalitarismo che si fonda appunto sulla rigidità della piramide del potere e sull’emozionalità. I due generali e il capitano sono modelli del fascismo che verrà.
Il maggiore è il modello della cultura umanistica che difende dal xv secolo gli spazi di moralità del singolo, la sua capacità di vedere in modo ‘umano’, magnanimus. La cultura umanistica che con l’illuminismo acquista forma politica e rivendica, sulla scorta del libertinismo (Bruno,Spinoza. Don Juan..), una chiara supremazia della società civile sulla società legale, i diritti contro i doveri,le libertà ‘private’ contro le limitazioni da parte del potere.
La cultura liberale, insomma, quella che rimane sullo sfondo di ogni trasformazione politica europea nel corso del XVIII secolo: lo stato moderno ha come scopo quello di determinare la ‘felicità’ dei suoi membri (Costituzione americana del XVII secolo); questa è la ‘patria’, questa è la ‘bandiera’,un simbolo della Cura di tutti per tutti , a partire dai fratelli meno fortunati.
Questo è il concetto di ‘progresso’ a cui guardano i cittadini deboli, i reietti, e che cercano di realizzare i membri più ‘umani’ della borghesia (Dax) contro la direzione ‘particolaristica’ con cui una parte consistente della borghesia e della burocrazia si appropria delle parole chiave della modernità.
Ciclicità
La truppa è ovviamente composita: la si potrebbe immaginare e rappresentare come una massa senza forma, come una congerie di confuse marionette manovrate dall’alto. Ma K. usa varie situazioni e primi piani accurati per dare una dimensione di persona a una parte consistente della massa. Individui, con storie ed esigenze particolari, con differenze che alla fine si annullano nelle situazioni estreme del pericolo e del divertimento.
C’è il debole, il saggio, quello che ha studiato e parla e argomenta, quello con l’esperienza grossolana, quello che semplifica, quello asociale, quello attento, quello distratto.
È soprattutto quando si arriva alla richiesta di decimazione e al processo nella Corte Marziale, che K. delinea con accuratezza le specificità che fanno di ognuno dei tre prescelti individui a tutto tondo, con le loro esistenze irripetibili, con proprie storie , con proprie ambizioni e passioni . Ecco a cosa pensano i libertini e gli illuministi quando parlano della distinzione tra sfera pubblica / e sfera privata: ognuno è diverso nella sua individualità[3], ognuno - anche e soprattutto se appare ‘debole’ - deve aver diritto a continuare nella sua differenza, a seguire le sue preferenze, le sue idiosincrasie[4].
A sottolineare che si tratta di individui e non di astrazioni quando si focalizzano gli eventi reali, il regista lascia in fondo ai margini la rappresentazione della grande guerra che si sta combattendo e mette in scena un conflitto, un vero specifico all’interno dell’esercito francese. I nemici sono là, nel Formicaio, ovvero come degli insetti che hanno poco da spartire con l’umano che vive nelle trincee: e si combatte contro di loro, ma di fatto se ne sentono solo le cannonate, gli spari. Un nemico senza volto (Levinas) ,quindi non umano. Il vero conflitto è tutto interno alla Nazione che combatte: non solo c’è scontro tra gli ufficiali – come si è detto – ma anche al livello basso, in cui non sono in gioco carriere o interessi, ma ‘banali’ questioni – tipicamente umane – di ‘riconoscimento’,di ‘posizione’ sociale, di paura e di irresponsabilità. C’è un capitano che si scontra – in continuazione con pregresse storie di adolescenza - col suo soldato /compagno di scuola, approfittando del suo ruolo gerarchico superiore per rovesciare la situazione. Il soldato disprezza il capitano, che lo mette più volte in condizioni di rischio: ma alla fine è l’ufficiale che afferma la sua ‘superiorità’, quando .approfittando del diverso ruolo nella scala gerarchica, lo sceglie – per mero calcolo!- tra i tre da fucilare [5].
Insomma quelli che in genere sono sprezzantemente indicati come ‘truppa’ , cioè come una massa inerte di singoli senza valore, rivelano di avere non solo differenze di conoscenza ed esperienza, ma anche di obbiettivi e sentimenti. Non c’è una massa ma individui che sono costretti fare comunità e che inevitabilmente determinano conflitto. Insomma lo scontro più che col nemico invisibile è proprio là dove si vorrebbe Uguaglianza.
Si tratta – sullo sfondo – di conflitti sociali, come dimostra – proprio in Francia – la storia del secolo XVIII, quando si succedono almeno tre rivoluzioni che pretendono di modificare la situazione a favore delle classi meno agiate. Kubrick identifica lo scontro sul piano delle relazioni umane . in ogni caso ,dopo questa guerra, di fronte a questo stato di cose, si inventerà – anche grazie alle esperienze della guerra – una nuova politica di ‘massa’ che pensa di arrivare al Potere eliminando le differenze tra individui e puntando a realizzare una compattezza unanime della massa: si è infatti capito che l’individuo sparisce se lo si ‘ammassa’ in grandi numeri e li si nutre di passioni elementari.
Basta ricordare la conclusione del film. Il maggiore (l’intellettuale borghese che ha coscienza di quel che è successo, di quel che sta succedendo e di quel che succederà) rimane fuori la bettola in cui i soldati , finalmente lontani dalla trincea, sono tornati a vivere un clima di rilassata normalità. Risa, schiamazzi : anche qui le riprese alternano piani lunghi a primi piani, per far notare che si tratta comunque di individui diversi, pur se accomunati dallo spazio e dal tempo. Essi non stanno facendo storia: stanno limitandosi a vivere. E il vivere consiste nello svago. Ma lo svago consiste soprattutto nell’attaccare l’Altro: è la prima volta che nel film compare il Nemico, ma è nelle vesti dimesse e spaurite di una giovane ragazza.
All’inizio urla di scherno e ostilità: la canzone è frammentaria e non sensata in mezzo al baccano. Poi a mano amano i soldati si commuovono: riconoscono in lei una persona umana, una persona che vive i loro stessi sentimenti, anzi è lei stessa che li riporta a casa, alla loro dimensione di vera normalità. La ragazza è segno della normalità che simbolicamente è depositata nell’arte, che è capace anche nella bufera di ricordare il passato di qualità umana.
La assecondano commossi nel calarsi dentro la malinconica nostalgia della casa, della madre, dell’infanzia (sentimenti questi sì universali che uniscono anche chi è diverso).Per loro la vita quindi consiste fondamentalmente nel ‘tornare’, nel ritrovare le situazioni da cui la grande Storia li ha allontanati. Felici delle loro routine,le rimpiangono,ognuno a suo mdo. Di Da non sappiamo nulla oltre al fatto della professione. Degli altri qualcosa emerge sempre tra desideri e presente. Ciclicità.
La scena finale[6] si presta comunque anche ad un’altra lettura: gli individui, una volta messi insieme, una volta immersi nell’irrazionale mondo delle passioni, diventano una massa che tutta insieme non solo canta, ma dimentica la propria differenza e si fa comunità.
È un bene, un male?[7]
[1] Che è come dire la logica positivistica della compartimentazione in opposizione alla logica olistica dell’illuminismo: il fallimento delle utopie, l’evidenza delle difficoltà a gestire i grandi progetti di trasformazione globale delle società, spingono alla estremizzazione delle procedure razionali: si applicano le procedure tecniche del riduzionismo, della semplificazione, per i problemi complessi appaiono risolubili se ridotti, cioè se separati dalla varie relazioni (link) che appesantiscono i singoli elementi di un sistema. Insomma è il trionfo della ‘specializzazione’:la razionalità di cui si parla entro questo prospettiva non è quella generale ma quella settoriale, per cui ogni ambito disciplinare ha la sua specifica razionalità. I problemi si risolvono se affrontati uno alla volta ,entro un sistema chiuso e statico: il futuro è aperto se si riduce la totalità a frammenti (col linguaggio dell’economia e della pedagogia contemporanea : moduli). La conseguenza sul piano del comportamento dei singoli è che ci si sente responsabili solo per il piccolo frammento di realtà di cui si è specialisti: si perde la visione d’insieme, che è lasciata a non ben precisati ‘esperti’ (specialisti ovviamente) che prendono decisioni di ‘largo respiro ’; ci si limita ad agire solo nel settore per cui si è chiamati. Così i militari o gli ingegneri o gli idraulici ecc.. Così,del resto,è ancor più oggi: la formazione ai vari livelli privilegia l’utile,la specializzazione,il collegamento scuola – lavoro, ma le decisioni vengono da sfere invisibili, che continuano ad operare con logiche di compartimentazione vendute come olistiche (per intenderci gli economisti neoliberisti)
[2] Nel Palazzo si svolgono eleganti intrattenimenti oltre ai rituali incontri dei generali: le donne e i balli dichiarano una continuità evidente con le pratiche sociali della società dell’Antico Regime, in cui i ceti privilegiati godevano di una qualità di vita eccezionale , fatta di trastulli e divertimenti, senza obblighi particolari verso la nazione. Così i generali che festeggiano, mentre i soldati sono nelle trincee, sono il nuovo ceto privilegiato che indifferente alle sofferenze della massa (anzi grazie alle sofferenze della massa) vive intensamente nel presente di abbondanza e gaiezza. La differenza, pare voler dire Kubrik, è solo nel fatto che questo ceto è ,in un certo senso, aperto: non si nasce ufficiali ma lo si diventa. E la storia dimostra però a quali condizioni: chi parte dal basso può arrivare in alto;ma chi sta già in alto è in grado di cooptare chi sta in basso non tanto sul piano del merito dichiarato ma sul piano dei favori personali (si pensi alla trattativa tra generali – di cui è già parlato -, ma soprattutto alle proposte finali del generale al maggiore: lo ammira perché pensa che tutto il suo agire sia frutto di una mente cinica che punta a ‘fare carriera’. Il calcolo (utilitarismo) non l’ideale (l’io categorico kantiano) è la cornice entro cui agisce chi vive nel Palazzo, perso nella visione limitata della specializzazione.
[3] Chi non si rassegna, chi lotta, chi accetta: chi è laico, chi si affida alla religione; chi è consapevole, chi incosciente.la figura più sconvolgente è ovviamente quella del soldato che pur ferito viene messo al palo in barella, con totale disprezzo per la sua dimensione umana . la religione che viene dispensata facilmente con croci e benedizioni non viene certo praticata nel suo messaggio profondo di charitas. La logica della compartimentazione, della specializzazione vince sull’humanitas, sulla tradizione culturale che vorrebbe affermare la supremazia di valori universali (che si dichiarano e si vogliono universali) ma che si trova sottomessa alla dimensione efficientista della tecnica.
[4] La questione emerge in tutta la sua drammaticità al momento dell’applicazione del trattato di Cateau Cambresis del 1556, quando si stabilì che in uno stato – per evitare conflitti - tutti i sudditi dovessero seguire la religione del Principe. Di fatto a questo inizio seguirono tremende guerre di religione, dentro gli stati – come la Francia in particolare – e tra gli stati d’Europa. Di fronte a queste catastrofi i filosofi e gli statisti a forza di sperimentare e riflettere arrivarono a inventare la distinzione pubblico / privato, a elaborare vari modelli di stato (assoluto, parlamentare,costituzionale .. ) entro cui far coesistere in qualche modo le differenze (libertà) e l’omologazione (potere).
[5] Anche in questa vicenda si mette in chiaro che non è il merito a fare la differenza, ma forse il caso,o –ed è peggio - una valutazione sbagliata. Il capitano è tale – essendo richiamato – solo perché vanta , com’è ovvio per un borghese, un titolo di studio che in sé dovrebbe garantire la capacità di avere una visione d’insieme dei fatti, più di chi non ha studiato. Ma si dedica all’alcool, rifiuta di usare la ragione pur avendo responsabilità per tutti i suoi sottoposti, e determina conseguenze terribili per tutta la truppa, in seguito alla sua mancanza di iniziativa, al rifugio nella ‘libertà’ privata proprio quando avrebbe responsabilità pubbliche. Modello di quanto fanno in tanti che anche oggi vivono all’interno di istituzioni pubbliche e scansano responsabilità, puntando unicamente al qui e ora.
[6] Altre scene fondamentali sono quella del processo (i cui si focalizzano due modi opposti di intendere la legge (due culture contrapposte della modernità: risultato e metodo) e quella della fucilazione (Gran Teatro, alla maniera settecentesca: ma se i nobili erano ironicamente consapevoli di star recitando in una sorta di ‘gioco’, i generali esercitano la ritualità da “spettacolo” con un recupero dello spirito barocco del Potere che vuole stupire, che comunica se stesso attraverso i riti).
[7] Il fascismo insiste proprio sulla componente sentimentale dell’esperienza umana per dominare le volontà dei singoli, appianando le differenze sociali. Idoli di cartapesta diventano allora gli ideali (Patria); le decisioni vengono prese da una Guida (duce, fuhrer,caudillo) che semplifica la complessità del mondo (riduzionismo positivistico) che sostiene gli interessi di una Parte e afferma di agire in nome del Tutto.
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