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Come nasce la coscenza : LOCKE di S.Knight

Dopo aver identificato il meccanismo fondamentale della genesi del Sé come ‘scrittura’ di ‘copioni’ (To be or not to be) ;dopo aver cercato di capire come avvengono le scelte del ‘copione (Ida), cerchiamo di vedere come ,all’interno di questa scena teatrale, emerge (può emergere) il problema ‘morale’ del ‘che fare’.In particolare : stare nel convento (nelle conventicole ) in cui si tengono lontano i problemi (anche quelli che ci riguardano) o andare ad affrontare nell’altrove i problemi (specialmente quelli che ci riguardano)?

Per il regista del film (S.Knight) la soluzione è nella “riduzione dell’intero processo ai fondamenti”. Il protagonista di fronte ad un caso estremo (paternità non voluta da un incontro occasionale) sfronda il campo da orpelli e dettagli (sentimenti e consuetudini)e procede verso un cambiamento definitivo della sua esistenza,sulla base di un principio (per lui) essenziale,quello della responsabilità di un padre nei confronti di un figlio

.Per dare la misura della profondità della questione e della soluzione occorre fare come Locke: mettere da parte le emozioni e cercare argomentando, inserendo i dettagli della storia del film entro dei modelli teorici sufficientemente astratti per uscire dalla logica banalizzante del ‘mi piace’.La nostra ipotesi è che l’unico tipo di azione degna di questo nome è quella in cui cerchiamo di essere umani,ovvero quando non ci affidiamo al caso o alle abitudini ma alla consapevole sfida dell’ ‘impossibile’. Ovvero se il nostro gesto è ‘morale’,ovvero disposto entro una forma ‘innaturale’: se si rifiuta di sostare nella logica della sopravvivenza (senso del reale) e si adotta la prospettiva dell’ Evento (senso del possibile).

La trama

La scena in cui si svolge la vicenda è quella dell’interno dell’auto che Ivan Locke guida nella notte verso Londra. La scena iniziale inquadra,nella notte, un’ enorme cavità: è un cantiere in cui si preparano le fondamenta di un grattacielo. Da lì esce un uomo (con vesti da operaio) che,in mezzo ad altri che si muovono in direzione opposta.Si muove nel traffico e fermo davanti ad un semaforo esita prima di decidere dove svoltare.Entra in autostrada e comincia a fare telefonate. Da esse emerge progressivamente la cornice che dà senso al viaggio. Sullo sfondo il fatto che è un capocantiere,ha una famiglia,con moglie e figli, All'alba deve presiedere alla più ingente colata di cemento mai vista in Europa: la proprietà americana,su indicazione dei manager,ha scelto lui,dopo averne verificato per nove anni l’eccellenza professionale. In primo piano una paternità imminente ma non desiderata:un rapporto occasionale,in un momento di solitudine, ha determinato la gravidanza della donna che adesso,al momento del parto, vedendosi sola, gli ha chiesto aiuto . Il viaggio consiste appunto nel movimento dalla quiete iniziale al problema presente: novanta minuti in cui il tempo della storia e il tempo del racconto coincidono e non c'è altro luogo al di fuori dell'abitacolo della Bmw in movimento e nessun altro personaggio. Lungo il viaggio non succede nulla di particolare in termini di azione propriamente detta: semplicemente Locke,mentre continua a guidare,si impegna in un dialogo telefonico pressoché ininterrotto con delle persone che non si vedono mai e sono presenti solo come voci. : Bethan, dall'ospedale di Londra, , l’amante di una notte, donna timida, tremebonda,insicura, che ha necessità della sua presenza fisica mentre partorisce. (l’irrompere del reale nel Reale);la moglie Katrina,furibonda e tranchant, i due figli da casa,che vogliono coinvolgerlo nei loro giochi (l’Immaginario); Gareth, il capo,i burocrati del comune e Donal,il polacco (il Simbolico), Locke alla fine del viaggio giunge in ospedale,proprio nel momento in cui sente, sempre e solo per telefono, i primi vagiti del neonato.

Concetti di riferimento :

Evento : per Badiou l’unico momento in cui si può davvero pensare di ‘fare storia’ è quando avviene una ‘crisi’ ,un cambiamento delle routine. La vita è piena di gesti,azioni, passioni,conflitti da risolvere:ma per la quasi totalità delle persone, per la quasi totalità del tempo, è iscritta nella solita ‘scena’ con i copioni soliti (propri e altrui) per cui assumono importanza le dissipazioni minime che sembrano turbare il quadro previsto. Quel che ci sembra ‘evento’,quel che tl mainstream chiama evento, è semplicemente una situazione di routine,solo che si presenta con una maggior densità rispetto all’usuale;insomma è una ‘scena’ già iscritta ,per così dire, nella sceneggiatura del Teatro / Mondo in cui ci troviamo a vivere.Il vero Evento per Badiou è solo quando siamo costretti a (scegliamo di) cambiare copione quando cambia tutta la scena, quando siamo in qualche modo lì a inventarci un nuovo copione. Ivan in sostanza ‘fa storia’ solo nel momento in cui sembra impazzito, fa una cosa ‘da pazzi’: lascia tutto il passato (famiglia,lavoro) e parte per un futuro imposto dalla Coscienza. Così, la sua storia particolare sembra essere una immagine dell’ipotesi che il vero unico Evento della storia umana è probabilmente l’emergere della Coscienza, o del Soggetto, o del Sé. Continuamente siamo costretti a far i conti (come dice Lacan) con l’irruzione del Reale (l’anomalia non prevista dai codici con cui diamo senso al mondo). Ineffetti sifrantuma costantemente il nostro Immaginario:ma la reazione è inevitabilmente quella di escludere l’intruso, il perturbante, e di accontentarci di ritornare alle nostre forme simboliche consuete, a ripetere quindi i soliti copioni. A non fare storia quindi,ma a realizzare solo sopravvivenza.

Dentro / Fuori: il ‘luogo’ dove avviene questa rappresentazione (morale?) nel film è un sistema dentro / fuori composto dal Sé cosciente (a vari livelli) e l’esterno (che ci bombarda),una vera e propria kammerspiel (Damasio, Lacan) entro cui i giochi sono condotti dal Soggetto. Egli distanziato com’è fisicamente da altri Soggetti (dal Mondo) è quindi in grado di analizzare il problema eliminandone le componenti emozionali (che lo riporterebbero alla prevalenza delle emozioni e dei sentimenti) e riducendolo (fino alla risoluzione) alle sue componenti ‘assolute’, ai suoi ‘fondamenti. La kammerspiel è l’automobile che si muove nella notte sotto la guida di un uomo, e il mondo esterno sono le luci e le ombre che,come nella caverna platonica, rimbalzando sui vetri alludono alla loro naturadi ‘copie’ del reale variabili e inconoscibili nella loro essenza: come dire che l’Io fa entrare l’esterno nella sua kammerspiel solo in forma di ri- specchiamento non di ‘verità’. E sono ombre,luci, che rapidamente appaiono e scompaiono, fluide presenze che poco modificano l’interno. L’interno è però pieno di ‘voci’: parole che Ivan scambia continuamente (per telefono,anzi telefonino)con altre voci lontane. Un vero e proprio dialogo platonico, in cui il Socrate in scena cammina per le strade e parla con le persone,solo che queste persone sono lontane. Fuori di metafora:il Soggetto consiste ,nella società modernistica o postmoderna, di questa molteplicità di voci che interagendo con l’Io lo costruiscono, lo limitano,lo spingono, lo portano ad assumere copioni.Il dialogo è tutto interiore nella realtà dei fatti quotidiani: fuori della straniante proposta del film, il nostro Io è in continuo colloquio con gli Altri:in forma di memoria recuperata attiva questa o quella ‘parola’,costruisce questo o quel tipo di Logos. L’altro è in questa operazione presente solo come ‘voce’ appunto, come Logos. L’assenza del Corpo, consente di sfuggire alla ‘gabbia’ della situazione presente, ovvero di trascendere l’immediatezza pressante dei corpi che costruiscono il Reale, e di COSTRUIRE un altro copione, un altro tipo di mondo.Tutta l’antropologia umana consta di questa ‘discrezione’ dal flusso, di questa separazione dal Divenire, dal disordine, alla ricerca di un ‘centro’,di un ‘ordine’. Ma mentre l’ordine sociale ovviamente è costruito all’esterno (con segni ,codici,Leggi del Padre),quello del Soggetto è appunto tutto ‘dentro’: del resto che vuol dire intimo se non ‘quello che sta più dentro’(intus = interior = intimus)?

Viaggio :il movimento come ‘quest’, come oltrepassamento di una frontiera d’ordine, come sfida del Rischio,del Perturbante. Viaggio verso la ‘foresta’ dei ‘mostri’,dei nostri gesti,delle conseguenze dei nostri gesti,effettuati in totale jouissance. Superare le barriere del Sé nucleare (distruttivo) ,viaggiare nella memoria, e tornare a considerare il Presente come qualcosa che si lega al Passato e che può / deve incidere sul futuroLa forma archetipica propria del viaggio è l’Esplorazione, la Sperimentazione, il Cambiamento, l’incontro con il Nuovo, ed è un vero e proprio topos della cultura moderna (don Chisciotte, Robinson, Gulliver,Gordon Pym,Achab, Marlowe/Kurtzsono le icone più celebri della letteratura del viaggio) diventato ossessivo nella cultura della contemporaneità in ossequio allo sviluppo dei mezzi di locomozione. Moto e auto hanno reso insulso e banale il tema,riducendolo quasi sempre a inevitabile scontro con le regole (stradali per lo più) e ad esaltazione di un carnevalesco rituale,fino alla esaltazione del viaggiare in quanto tale.Questo film elimina ogni compromesso con il genere cinematografico on the road,riportando in evidenza come il viaggio è tale solo se è un fatto mentale, se comporta una ridiscussione del Soggetto con il suo sostrato e con jl suo futuro.

Responsabilità:ovviamente il concetto guida,affrontato da sempre nello svolgersi del pensiero ‘umanistico’ è alla fin fine quello etico, quello dell’ “è bene fare questo e sbagliato fare quest’altro”. Dalla Polis in poi le risposte sono sempre altalenanti tra l’identificazione del Bene in Regole Oggettive (sacre o laiche – platoniche,cartesiane) o la sua continua problematizzazione. Cert’è che fin dalle forme del Kinismus di Diogene, l’idea di Bene coincide con quella di ‘porre il problema’ non già con questa o quella soluzione definitiva. Porre il problema (i problemi) è compito della ‘nobil natura leopardiana’. L’ “io devo” kantiano è già dentro questa proposta di problematizzare,anche se finisce per cristallizzare la scelta morale in una coerenza con il principio adottato, una volta adottato (basta l’intenzione).Lo sviluppo più chiaro di questa posizione si ha con Jonas e la sua etica della responsabilità, che aggiunge alla coerenza (all’intenzione)anche la necessità di prender atto che se esiste il noumeno le conseguenze non sono prevedibili e quindi occorre immaginare i ‘resti’ delle nostre scelte come carico delle nostre azioni . La questione morale è comunque nel film affrontata non in astratto ma in maniera specifica, In particolare la questione è quale il bene che deve perseguire un Padre, un genitore nei confronti dei figli.Qui si spiega il ‘cognome’ di Ivan,LOCKE: è il filosofo che più accuratamente nel Settecentochiarisce il problema morale dell’essere genitori. Per lui Se è vero che l’uomo è tale nel momento in cui si erge come Soggetto cosciente che pensa riflette e sceglie prima di agire, cioè nel momento in cui è ‘eticamente’Se è vero che tale coscienza etica non viene dalla Natura ma dalla Cultura (non si nasce etici ma lo si diventa)allora la responsabilità ultima di condurre i bambini ( giovani / figli) alla responsabilità morale ( a quella che nella tradizione si chiama Virtù),cioè alla scelta del Bene (con tutte le problematiche aperte sulla definizione del concetto di Bene),pur in presenza di istitutori e pedagoghi di vario tipo, resta sempre del padre e della madre: «il padre che educa il proprio figlio in casa, ha la possibilità di averlo accanto a sé, di dargli gli incoraggiamenti che stima opportuni, e di tenerlo lontano dal contatto dei servi e della gente di volgare condizione, più di quanto gli riuscirebbe possibile se lo avesse fuori di casa. Ma ciò che andrà fatto in questo caso, va lasciato decidere in massima ai genitori, secondo le convenienze e le circostanze». Il padre è via via istitutore, psicologo, amico e guida del figlio in società: fonte del suo primo sapere, attento studioso dell’indole del bambino, autorevole, ma mai autoritario, degno di rispetto, non di cieca obbedienza. Oggi è difficile immaginare una simile dedizione di tempo e di energie, per cui la delega dei vari aspetti educativi è diventata una regola: gli spazi che Locke si preoccupa di affidare ai genitori sono oggi occupati, su incarico degli stessi genitori, da professionisti numerosi e diversi, le cui competenze sono in qualche modo il risultato della specializzazione progressiva delle discipline ovvero della compartimentazione tecnologica,della frantumazione dell’individuo. Ma affidarsi a tutti questi comporta il fatto che alla fine manca proprio la figura responsabile della «difficile e importante parte dell’educazione cui si deve mirare [...] il bene, solido e sostanziale, di cui gli educatori non soltanto debbono parlare o leggere, ma di cui debbono arricchire gil animi con la fatica e con l’arte dell’educazione»: manca, in altre parole, chi si assuma la responsabilità di insegnare ai nostri figli la virtù.Insomma oggi si parla certo di responsabilità,ma – nel mondo della compartimentazione tecnologica – si riferisce il concetto per lo più ad un limitato ambito di performance ‘economica’:si è (ci si sente) responsabili solo della parcella di cui si ha ufficialmente l’incarico di occuparsi. “sono responsabile dell’ ablativo assoluto,mica della vita di questi ragazzi …”. Insomma la responsabilità è solo di tipo ‘utilitario’,non morale :si è arrivati al Cinismo, per cui i problemi vanno evitati a favore dello ‘star bene’ qui e ora, a favore dell’efficienza del ‘ssitema, dentro forme previste e predeterminate,senza alcuna attenzione per le vere questioni morali( Sloterdijk).Fine del Padre? In conseguenza di quanto già detto,è ovvio che le responsabilità del padre oggi siano evaporate. In una società in cui vigono ancora forme verticali di ordine, in cui si insiste sulla necessità di creare gerarchie, è a partire dal piccolo gruppo che si impone una struttura di ‘potere’ che di fatto vincola / restringe la libertà dei sottomessi. Nella società tradizionale e moderna ,nonostante tutto, cambia magari il modo di pensare e formare la famiglia, ma si continua sempre a rappresentarla come un organismo, che ha una testa per decidere e dare sicurezza e gli organi che funzionano in coerenza, ecc.. Nella società attuale in cui l’ordine viene sempre più cercato in forme emergenti, le strutture di potere rimangono in vita, ma per così dire nascoste e provvisorie:ogni gerarchia vale solo per la singola situazione in cui ci si trova a esistere, e sempre con lo scopo di non lasciare tracce,di non essere troppo presente. L’eventuale atto di autorità fluttua,in breve scompare, è sostituita da un’altra figura (l’allenatore,lo psicologo, il guru ..) e poi ancora da un’altra... Così in mancanza di un riferimento preciso e immutabile, di un centro di gravità permanente, l’unico fondamento rimane il Soggetto,ma lasciato solo fin dal suo emergere: infatti il Padre (la figura simbolica del Padre come fonte di autorità, magari da combattere) scompare:la sua presenza nel gruppo /famiglia è solo una possibilità tra le tante che appunto fluttuano intorno,solo uno dei copioni possibili a cui si viene chiamati. Ed emerge allora il Narciso,debole e franto, che è al fondo di ciascuno di noi,che vede nell’Altro solo uno specchio della propria insicurezza ,della minaccia alla propria condizione di benessere.La ricerca della Felicità diventa l’unica opzione praticabile. Se nella struttura verticistica l’Altro che mi è subordinato mi impone comunque delle responsabilità,in mancanza di vertive e di Potere l’Altro non mi impone responsabilità. Ognuno pensi da solo a se stesso! Io, Padre postmoderno, lascio piena ‘libertà’ ai figli, consento loro di autodeterminarsi totalmente:di conseguenza non mi sento più responsabile delle loro azioni, del loro ‘destino’. UNICUIQUE SUUM.- La dispersione di coordinate assolute,di centro, come premessa del- l’abbandono alla dimensione della ‘situazione’ vissuta come - abbandono alla pura ricerca dell’unico benessere ontologicamente certo, la jouissance. ‘star bene’ della ‘valva’ lacaniana,,il proto sè damasiano. Da cui segue - l’inesistenza della ‘responsabilità’Pathos / Logos: le passioni devono sottostare sempre ai ragionamenti? L’uomo deve essere identificato con la sua capacità di argomentare in termini geometrici (Cartesianamente astorico) o con la sua ‘emozione’ (la sua capacità di provare sentimenti contrari alla geometria?). la tecnologia o la passione? O quale delle due ha (deve avere ) la meglio? Il meglio per sé o per l’Altro?il presente o il futuro (passato)?Kant: IO DEVO . etica dell’intenzione . Una azione giusta va fatta perché è giusta, per senso del dovere, non per benefici che ne possiamo trarre. Va fatta per imperativa categorico,cioè l’ obbligazione morale che abbiamo dentro di noi in quanto essere razionali; un a priori ( una “regola prima delle azioni”) universale.La sua formulazioneprincipale è la seguente:“ Agisci unicamente secondo quella massima in forza della quale tu puoi volere nella stesso tempo che essa divenga una legge universale”: non si prescrive questa o quella azione, ma come determinare la propria volontà; in sostanza fornisceun criterio per decidere circa la moralità di una azione, legandola a un principio generale. Un’altra formulazione dell’imperativo categorico è la seguente. “ Agisci in modo da trattare l’umanità, tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro, sempre nella stesso tempo come fine, mai come mezzo”: se nessun fine che sia dato come oggetto esterno può essere assunto come fondamento della moralità, l’unico fine che può essere moralmente proposto è l’uomo stesso come valore assoluto. Fine deve essere sempre l’uomo, non qualcosa esterno all’uomo.-Un terza formulazione: agisci in modo tale che “la tua volontà possa, in forza della sua massima, considerare sé stessa comeistituente nello stesso tempo una legislazione universale” cioè la tua volontà sia autonoma, legge a se stessa..Massime (Soggettive) vs Imperativi (oggettivi)HegelIl problema che si pone Hegel è etico e non morale in quanto la moralità rimanda alla coscienza dell’uomo mentre l’etica al comportamento dell’uomo. Per Hegel, gli uomini vivono adattando costumi etici? Si! I comportamenti etici non sono chiusi nella coscienza ma ogni uomo appartenente ad una società civile si dà dei costumi etici. Hegel distingue tre istituzioni presenti in tutti i popoli civili:Se tutti i popoli vivono con queste tre istituzioni vuol dire che vuole vivere eticamente ed esse testimoniano che l’umanità cerca di vivere in modo etico e morale.La famiglia è caratterizzata da legami non solo biologici, ma anche da sentimenti di fiducia, cioè da un’unità spirituale. Si articola anch’essa in tre momenti:matrimonio, la costituzione della famiglia, momento fondato sul consenso libero e spirituale delle persone;patrimonio, i beni materiali appartenenti alla famiglia, che devono assicurarle stabilità e ai figli mantenimento ed educazione;educazione dei figli, il momento più importante della famiglia, secondo Hegel, poiché è con l’educazione che si realizza la famiglia. E proprio per questo lui critica i genitori romani, che usavano i propri figli come servi della propria schiavitù. La famiglia per ad un certo punto deve sciogliersi in quanto i figli, una volta raggiunta la maggiore età, devono fondare a loro volta una loro famiglia e quindi devono essere persone di diritto. Jonas : con la cosiddetta “etica della responsabilità” approda alla necessità di applicare il principio di responsabilità ad ogni gesto dell'uomo che "deve" prendere in considerazione le conseguenze future delle sue scelte e dei suoi atti. Dopo la crisi della razionalità etica provocata dalle elaborazioni di Friedrich Nietzsche si registra nel pensiero del XX secolo l'esigenza di restituire l'etica alla plurale concretezza del mondo e della vita, osservando che la ricerca di principi universali condiziona le decisioni e le scelte sull'ambiente, sull'economia, sulla comunicazione e, in sintesi, sulla vita del genere umano. Tale esigenza porta ad una ripresa dell'universalismo kantiano e dell'idea di "dovere" quale fondamento della morale :è Hans Jonas che elabora, così come Weber, un concetto di etica orientata al futuro. Hans Jonas inserisce la propria proposta teorica nel provocatorio progetto della fondazione dell'etica nell'ontologia, in nome della salvaguardia dell'essere e dell'umanità nell'Universo minacciato dalla tecnica, con le sue conseguenze distruttive sul piano planetario. L'imperativo dell'etica della responsabilità viene così formulato: "Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana".Weber La scena con cui si apre il film sembra una rappresentazione figurativa delle parole che Max Weber articola cent’anni fa sul disastro incombente sull’uomo industrializzato."Quando l'ascesi passò dalle celle conventuali alla vita professionale [...] contribuì, per parte sua, a edificare quel possente cosmo dell'ordine dell'economia moderna [...] che oggi determina, con una forza coattiva invincibile, lo stile di vita di tutti gli individui che sono nati in questo grande ingranaggio [...]. Solo con un leggero mantello, che si potrebbe sempre deporre, la preoccupazione per i beni esteriori doveva avvolgere le spalle dei suoi santi [...]. Ma il destino ha voluto che il mantello si trasformasse in una gabbia di durissimo acciaio" (Sociologia della religione, vol. I, Milano, Comunità, 1982, pp. 191-192). L’enorme gabbia di acciaio che aspetta la colata di cemento è l’abisso tecnologico che ingoia e ingabbia il tecnocrate,lo scienziato della contemporaneità: Locke è un capocantiere, senza troppi libri alle spalle, uomo pratico, che finora ha risolto la sua esistenza nella ricerca del lavoro ben fatto, nell’etica della efficacia ed efficienza,dell’homo faber che sa ‘fare’ bene le cose (qualunque cosa).un uomo coi piedi ben piantati per terra, come suggerisce la seconda ripresa, che inquadra in primo piano un paio di robuste scarpe da lavoro,sporche,senza grilli per la testa, vien da pensare. Anche la salita in auto non permette di vedre immediatamente un volto, ma solo la divisa da lavoro. un ambiente quindi che è come una ‘gabbia’ e un individuo che si muoive anonimo, senza ‘persona’, un ruolo più che una vera persona .un ruolo che esiste esattamente in rapporto alla gabbia d’acciaio.Locke è l’esemplare dell'uomo weberiano, sempre più stretto tra il dominio dell'economico e del tecnologico, da un lato, e un mondo che nel suo complesso gli appare privo di senso, un mondo irrazionale dal punto di vista etico, dall'altro.Sulle spalle del soggetto agente viene addossato il peso della decisione e dell'azione. In questo senso non è secondario il fatto che il personaggio del film sia un capocantiere,in quanto è in figure del genere che meglio appare il fatto che il campo delle decisioni nella vita dell’individuo tecnologico non è più quello proprio dell’etica ma quello pratico della tecnica. Essendosi appannato l'orizzonte progettuale della vita comune e prevalendo un processo complessivo di spersonalizzazione - il 'mantello' trasformato in 'gabbia d'acciaio' - al singolo è richiesta – soprattutto nell’ambito specialistico del suo lavoro, delle sue funzioni economiche e tecniche - l'assunzione piena e totale della responsabilità del suo agire, quella responsabilità della decisione, che certo non può essere mai delegata ad altri se è decisione autenticamente personale, ma che comunque sempre meno può avvalersi di contesti collettivi che non siano totalizzanti e che siano invece capaci di fungere da supporto di pensiero, da criteri condivisi per l'agire. Locke è dentro questa logica fina dall’inizio e anche alla fine, quando è licenziato, mostra di far fede al suo impegno per un principio ‘ascetico’ di responsabilità. Non esiste più in effetti qualcuno (qualcosa) di trascendente che obblighi all’azione, ma è la stessa ‘coscienza’ (Soggettività) che recupera inaspettatamente un senso ‘morale’ dell’agire: la soddisfazione del ‘portare a termine’,la sfida al ‘sublime’,la pienezza del faber che continua a progettare razionalmente anche quando la situazione si fa dura.Weber, riflettendo sull'immagine platonica della caverna (libro VII dellaRepubblica), sottolinea che ciò che per Platone era un semplice insieme di ombre proiettate sulle pareti della caverna è divenuto vera realtà, mentre il sole stesso è diventato come un fantasma, privo di vita. La scienza non si pone infatti più il problema del sole, dalla cui luce farsi illuminare in modo chiaro, non si occupa della verità in sé, ma solo dei modi, dunque delle procedure per uscire fuori dalla caverna e quindi seguire le ombre. La scienza è diventata un insieme di strumenti espressivi, esplicativi, procedurali, operativi. Non cerca più il sole o quantomeno non lo ritiene verità che illumina, la scienza non cerca più il senso, non valuta, è avalutativa. Il buio della notte e l’autostrada del film rappresentano, di fatto, l’equivalente della caverna: le luci passeggere, i riflessi sul parabrezza, sono appunto le ‘ombre’ delle vite del mondo che creano ,tutte insieme, ‘rumore’. Ma Locke on segue quelle ombre: ha una meta precisa, si estranea da loro, e tutto chiuso in se stesso cerca ancora il ‘sole’, quella che è per lui la Verità.La ricerca del senso è affidata esclusivamente al singolo. Ecco allora il pluralismo, e spesso l'antagonismo, o la tragica inconciliabilità, la lotta tra i valori non più assoluti ma solo possibili. Locke deve puntare a ‘ripetere’ la scelta della famiglia esistente, del contratto economico, o a trasgredire, ad andare oltre questi limiti? Non si tratta di scegliere all’interno di un monismo etico che colloca nettamente un fatto dalla parte del Bene o del Male, ma di confrontare una pluralità di Beni possibili, fino a determinare la sua Verità. Il singolo può scegliere per sé in senso assoluto guidato dal suo demone, ma ciò non può valere per tutti e per tutti allo stesso modo. La scelta di Ivan è un caso che meglio si esplica entro la cornice dell’etica della responsabilità’, una scelta non garantita dall’esistenza di un unico senso Nasce qui l'idea weberiana di un'etica della responsabilità. Se il conflitto dei valori è un luogo fondamentale in cui l'Io si forma, (Locke è Ivan per il fatto che fa le sue scelte argomentate,non affidandosi mai ai sentimenti ma solo al ragionamento ‘etico’ di tipo hegeliano: l’ontologica presenza di una famiglia, di una genitorialità, comporta delle ‘verità’ etiche appunto, non moralità di tipo soggettivo), l'etica della responsabilità rappresenta la presa di coscienza proprio del politeismo dei valori e la conseguente assunzione di scelte personali in un contesto che per il singolo è assolutamente privo di garanzie. In qualche modo Locke con la sua scelta, di fatto dimostra che l’unico modo per rendere davvero operativa laGesinnungsethik('etica dell'intenzione', o 'etica della convinzione',o 'etica dei principi') è quello di adottare anche la Verantwortungsethik( 'etica della responsabilità'). Occorre il richiamo a ‘leggi’ che ti rinviano al ‘passato’ (in questo caso la ‘famiglia’) ma occorre anche pensare al futuro,alle conseguenze impreviste. Insomma laGesinnungsethik, fondata su principi universali e, in particolare, su una convinzione : "agisci rettamente e affida a Dio il risultato delle tue azioni",non può oggi non essere integrata da quel senso etico della responsabilità che si esprime in un agire che, specie considerato dal punto di vista della politica, ponga in grado di coniugare fini, mezzi e conseguenze dell'agire e, in un senso più ampio, sia un modo di rispondere alla mancanza di senso, all'irrazionalità etica del mondo. Ciò non significava tuttavia abbandonare l'idea di un possibile cambiamento sociale e politico. Anzi, una volta preso atto della mancanza di senso, a ciascuno, attraverso la sua responsabilità, è in qualche modo richiesto di dare un senso mantenendo sempre aperto l'orizzonte del possibile, che è l'orizzonte del futuro. Afferma Weber: "È certo del tutto esatto e confermato da ogni esperienza storica che non si realizzerebbe ciò che è possibile se nel mondo non si aspirasse sempre all'impossibile" (La politica come professione, Torino, Einaudi, 2004, p. 121). Locke con la sua ostinata infrazione del senso di realtà e con la corsa verso quello che la normale regola sociale considera‘impossibile’ in effetti rende possibile infine proprio quello che all’inizio semplicemente non esiste. Jaspers Ognuno di noi, nella sua vita, si trova posto di fronte a quelle che Karl Jaspers, lo studioso che ha fondato la psicopatologia fenomenologica, definisce “situazioni-limite”, situazioni cioè inevitabili, come il non poter vivere senza lotta e dolore e il dover morire, che “sono come un muro contro cui urtiamo e naufraghiamo”. È appunto una di queste situazioni quella Ivan Locke,che deve affrontare la situazione –limite di una paternità non voluta e inaspettata, che frantuma la normalità del lavoro e della famiglia esistenti.Le nuove conoscenze scientifiche aumentano il nostro livello di libertà di scegliere il modo in cui affrontare queste situazioni-limite, accrescendo in noi la vertigine della libertà di fronte alle scelte, lasciando affiorare con sempre più forza la nostra paura della libertà. La scena del film è costruita propria a partire da questa crescita di dipendenza dalla tecnica:telefonini e automobili da un lato forzano in modo immediato l’esistente, dall’altro offrono (impongono) possibilità d’azione nel qui e ora che rendono più forte l’impellenza do agire, l’urgenza dell’intervento,la dimensione della ‘libertà’. Non c’è tempo lento, bisogna agire immediatamente.Se la verità può essere definita con Husserl, come funzione del modo con il quale viene raggiunta, secondo, cioè, la costituzione che ne fonda il significato,allora si può dire che per ogni individuo, posto nella sua vita dinanzi a queste situazioni-limite e alla possibilità di scegliere i modi con cui affrontarle, la verità è rappresentata dal significato che egli stesso attribuisce, nella sua esperienza personale, a quella situazione. Il caso di Locke è in questo senso esemplare:per lui la difficile scelta dell’agire si basa su una sua personale ricostruzione del fatto, alla luce di una personale cornice a fare da sfondo: quando all’inizio del film, si muove in auto,arrivato ad un semaforo,esita sulla strada da prendere. Da una parte il ritorno alla consuetudine,dall’altra l’andare oltre il limite. Ecco il semaforo rappresenta simbolicamente questo limite che diventa scelta della ‘verità’, di quella verità finora ignota ma che gli si svela in tutta la sua radianza nel momento in cui connette la dissonanza cognitiva presente con la rete di memorie ed emozioni che riempiono la mente (la coscienza).Anche dinanzi a esperienze del tutto nuove, infatti, ogni individuo metterà in atto un processo personale di costruzione della realtà, cercando di integrare quelle nuove esperienze nella propria biografia, attribuendo ad esse significati noti, attorno ai quali ha già precedentemente organizzato la propria esperienza e conoscenza del reale.In pratica rientra in se stesso, si isola, entra nel silenzio rispetto al mondo,elabora daccapo la sua autobiografia e,mettendo insieme i frammenti della memoria con le immagini presenti,assume una soluzione (un copione per dirla con la psicologia sociale) e poi torna ad affrontare gli Altri, cercando di affermare la sua ‘verità’. Savater In Politica per un figlio consente di sintetizzare il tutto in modo abbastanza semplice: “essere responsabili significa essere capaci di rispondere per ciò che si è fatto,assumendosi le proprie responsabilità,e questo riconoscimento delle proprie responsabilità implica almeno due atteggiamenti importanti: primo dire “sono stato io”,quando gli altri vogliono sapere che ha fatto determinate azioni che hanno causato, più o meno direttamente,determinati effetti (buoni,cattivi o tutt’e due insieme);secondo,essere capaci di dare spiegazioni quando ci chiedono il perché delle nostre azioni.“Rispondere”, non c’è bisogno di dirlo,ha a che fare con “parlare”,articolare una comunicazione con gli altri. “Ebbene Locke non fa che operare esattamente dentro questo quadro: si prende la responsabilità dell’accaduto, afferma “sono stato io” , non accampa giustificazioni (per esempio inventando di essere stato sedotto) e rifiuta pure l’ipotesi di considerare la proposta della moglie di pensare che il bambino che sta per nascere sia di qualcun altro.“rispondere” poi è proprio in questo continuo articolato dialogo a molte voci che lo vede impegnato a usar parole, discorsi, per dire, chiarire, argomentare. Voci solo voci, solo parole, solo Logos dunque con cui spiegare (anche a se stesso) la direzione delle cose, le scelte, portando prove, argomenti, ragionamenti non sofistici..“In democrazia,la verità delle azioni che avranno ripercussioni pubbliche non appartiene mai all’agente incaricato di compierle, ma si stabilisce in dibattito, più o meno polemico,con il resto della comunità. Anche quando si è convinti di avere delle buone ragioni bisogna essere disposti ad ascoltare quelle degli altri senza chiudersi a oltranza nelle proprie ,perché altrimenti si arriva alla tragedia o alla pazzia. Don Chisciotte si considera un cavaliere errante,ma evidentemente dovrebbe ascoltare l’opinione di coloro che lo circondano e valutare l’impatto sociale delle sue discutibili ‘prodezze’ ,non lo fa perché è diventato un irresponsabile“

FORME

Soggettiva /oggettivaDa un lato il mondo esterno esiste solo attraverso lo sguardo di Ivan: nel buio della notte lo spèttatore vede e sente il percorrere delle strade,le luci,il selciato, i lumi, i rumori dei clacson,e le telefonate che si susseguono a ritmo incalzante. Oppure in oggettiva il solo volto in primo piano di Ivan. Si vive la vicenda di Ivan come in un thriller. Dove finirà? Come finirà?. Finisce in una posizione di responsabilità morale

PersonaggiIvan :un eroe comune e controcorrente che si assume le sue responsabilitàCon un maglione e una barba spessa, Ivan Locke sembra il capitano di una nave in tempesta. È un uomo comune, un tecnico edile che ha lavorato duro per tutta la vita, con la polvere del cantiere aderente alle pieghe delle mani. Esattamente l’icona dell’uomo medio ‘per bene’ ,di quello che oggi definiamo con inconsapevole riduzionismo, un ‘professionista’:l’uomo di oggi è di fatto visto come realizzato proprio se si limitata ad agire entro il campo ristretto del lavoro in cui si è specializzato. Lontano dai brividi e dalle angosce dell’utopia,naviga a vista, giusto in direzione del ‘òllavoro’:la sua qualità sociale è nella performance, nel saper fare bene quel che è il compito limitato entro cui ha rinchuso la complessità del suo desiderio di ‘umano’ ,di Altro. L’immagine esteriore è appunto quella di un uomo forte e sicuro, che ha saputo conquistare esperienze e sicurezza, sa il fatto suo.Ma la storia del film ce lo propone in viaggio, in movimento,in fuga da questa dimensione ,verso il rischio, oltre la frontiera della ‘quiete’ (della nicchia ecologica che ha costruito intorno al suo Io). Improvvisamente qualcosa lo ha spinto a tornare indietro ,o meglio nel profondo della sua memoria, a scavare tra i copioni conosciutoìi , e ad abbandonare quello dello specialista, dels elfmade man, per assumere il copione dell’umano’, di chi cioè non solo agisce ma alla fine,per una voltas, si rende conto che ogni atto del Soggetto è tale solo se accompagnato dalla Responsabilità. E non intermini di dovere imposto da Leggi più o meno sacre,bensì perché capace di attingere allla sua mente ‘sequenziale, lenta, analitica non solo per la soluzione di singoli problemi pratici del qui e ora (come quelli del lavoro) ma per la soluzione della questione fondamentale per ogni Soggetto ‘autobiografico’: cosa voglio essere,animal oppure homo? Sé nucleare o Sé autobiografico,distruttivo o costruttivo?accettare o no la sfida del Sublime, della scommessa dell’Impossibile? È così uno di quegli uomini così rari oggi: uno che si assume le sue responsabilità. Ammette il suo errore ed è pronto a subire le conseguenze devastanti della sua azione. Non fugge e non abbandona il figlio generato dalla leggerezza di una volta, anche se non illude la donna con cui l'ha concepito, che non ama e con cui non vuole dividere la vita. "Mi ami?", gli chiede lei. "Stai facendo questa domanda in preda al dolore o altro? Come potrei amarti?", la risposta di lui. Ivan Locke sa cosa significa essere padre, visto che suo padre se l'è svignata e non c'è stato. Lui invece vuole esserci. Con un intreccio praticamente inesistente, e con l'unica incognita di una qualche sorpresa derivante dallo stato emotivo del protagonista, bloccato all'interno dell'auto e costretto a tenere a freno le reazioni per l'impossibilità di agire al di fuori dell'orizzonte prestabilito (l'ospedale in cui la donna sta partorendo), "Locke" ha tutte le caratteristiche per scoraggiare lo spettatore abituato a fidarsi solo di ciò che vede. Ed è proprio eliminando il confine che divide il visibile da ciò che non lo è, il parlato dal non detto, che Steve Knight compie il suo capolavoro, trasformando la trappola claustrofobica dell'assunto in una confessione che apre le porte a una rinascita esistenziale, in cui la routine quotidiana (la cronaca della partita di calcio che il figlio commenta al padre durante le conversazioni telefoniche) e i dettagli più anodini (i calcoli e le procedure per la colata di cemento che servirà alle fondamento di un gigantesco palazzo) si intersecano con un sostrato filosofico universale e condivisibile. Quest'ultimo, apprezzabile non solo nei temi della responsabilità e nella redenzione che, alla pari dei film precedenti, sono il caposaldo della poetica del regista (i protagonisti de "La promessa dell'assassino" e, ancor più, di "Redemption", erano mossi da un'assunzione di colpa e da un'innocente da proteggere) ma anche nell'utopia - sconfessata - di ridurre la realtà a una razionalità che le appartiene solo in parte e che la narrazione fa saltare, quando Locke, uomo metodico e pragmatico, sarà costretto ad affidare le sorti del suo lavoro all'improvvisazione e al caos da cui sempre ha cercato di sottrarsi.

scene

la sequenza inizlale, l'unica che si svolge in ambiente esterno, riprende,con campo lunghissimo, la voragine del cantiere simile a Ground Zero a preannunciare il disastro che si è già compiuto (la notte d'amore con una sconosciuta). Il movimento dall’alto verso il basso,richiama l’archetipo della Caduta.Nello specifico si tratta,come detto, delle fondamenta di un edificio gigante: solo alla fine del movimento ,quando interviene la luce, artificiale, si intravedono degli edifici completati e delle persone che si muovono: in qualche modo,associando queste immagini con alcune delle parole dei dialoghi tra L. e il suo capo, si può facilmente pensare che il particolare – universale a cui si allude è la struttura economica globale, che nella sua tecnocratica efficienza,nella sua immensa ambizione, interpreta l’ideale dell’homo faber solo nei termim materiali di ‘fabbricare’, di trasformare la natura, di annichilirla. E dentro questa ‘fabbrica’ gli uomini sono marionette,figure semplici che nelle divise perdono identità personale,acquistano ruolo di congegni meccanici.

la svestizione dell'uniforme di lavoro a introdurre il disvelamento, psicologico e materiale, del personaggio: La camera da presa è a livello del suolo e mette in forte evidenza la concreta rudezza dell’asfalto, dello sporco, delle scarpe sporche, delle calze . finora non si vede il volto della persona: non c’è ancora Soggetto autobiografico, c’è solo il Sé Nucleare che si muove nelle sue routine:ma l’atto del togliersi qualcosa (le scarpe) è come se volesse alludere al motto proverbiale dello “star coi piedi per terra”. I piedi si alzano e penetrano nell’automobile,ormai lontani dalla terra. Locke comincia ad entrare nella camera di svelamento, nella soggettività: cessa il copione di capocantiere, che procede, come meglio si vedrà poi, secondo protocolli,attento a ripetere le routine,privato di possibilità di scelta,anzi fiducioso e sicuro proprio nella capacità di stare dentro le ‘regole’, dentro il codice dell’Immaginario (del dominio delle apparenze,di un mondo in cui tutto è garantito da Leggi e Certezze).il giudizio implicito che il regista propone di questa dimensione è probabilmente da cercare sia nella scelta di fare le riprese terra – terra (annullando del tutto la parte che in genere identifichiamo con l’idea di ‘persona’),sia con l’evidenza dei grani duri dell’asfalto che tengono il peso degli scarponi.Nel momento in cui L. sale in macchina, assume il copione del vero homo faber, che deve ‘fare la stoiria’, ovvero deve essere capace di allontanarsi dalla ridondanza dell’animal che è in noi. Il dubbio quindi, una situazione aperta, entro cui si chiede se per lui è meglio ‘stare’ nella quiete oppure ‘andare’ oltre la frontiera dell’ordine’ consueto. Ma non si vede ancora il volto di L. quello che nella nostra cultura rappresenta la Coscienza, il Soggetto.

il semaforo. Allontanatosi dal cantiere Locke si avvia per la strada e si ferma quando arriva davanti al rosso di un semaforo,mettendo immediatamente la freccia verso sinistra. Non si è ancora visto il volto di questo lavoratore che sta andando verso casa:le riprese interne alla Bmw sono dal retro. Durante la pausa imposta dal rosso,finalmente la camera mostra di fronte,a mezzo busto,il viso incorniciato dalla barba e con lo sguardo seriosamente puntato verso un indefinito oggetto ,in effetti un concetto. È il momento di ‘trascendenza’ di L. che nella pausa dal traffico è evidentemente trasportato dalla mente in una realtà astratta, non quella che i sensi percepiscono in quel momento, ma quella che si agita con immagini e sentimenti nella memoria della mente. Passa qualche secondo ,arriva il momento del verde e rimane ancora fermo, finché il suono di un clacson e la violenza della luce abbagliante da dietro, lo costringono a rimettersi in marcia. Solo che a questo punto modifica la posizione della freccia e svolta verso destra. Questa è in effetti l’unica “azione” del film,al di là del viaggio in se stesso: e in questo cambio di direzione si sintetizza per immagini la sostanza di quello che, come abbiamo visto, Badiou definisce “evento”Una contingenza (un incontro o occorrenza contingente) che si trasforma in necessità:la compagnia di una sola notte dà origine ,infine, ad un principio universale, un nuovo Ordine. Locke si astrae dal ‘presente’ e opera un re – framing dell’Immaginario, ne vede la natura di ‘apparenza’ sotto la spinta dell’incontro traumatico di estrema violenza che destabilizza l’intero universo di significato entro cui è vissuto finora. Il clacson,la luce, sono le immagini che alludono a queste dimensioni mentali: cert’è che sul piano narrativo cambiare la direzione della freccia comporta appunto il viaggio notturno,ovvero la scoperta e l’acquisizione dolorosa di un copione ‘altro’ assolutamente imprevisto,ma che costruisce mettendo insieme i pezzi della sua memoria personale (l’infanzia,un padre assente, il ritorno del padre),entro un frame ‘vero’ per lui, quello del padre che assiste il figlio (giusto secondo la morale dichiarata da Locke). Certo il semaforo propone la scelta tra due copioni: quello del padre perbene,del padre tipico della classe media europea, che si identifica con la casa di proprietà, con il rispetto dei protocolli formali,con il lavoro; e quello del padre ‘snaturato’,del padre cosiddetto ‘naturale’ che recupera ,fuori delle regole sociali storiche e convenzionali, proprio il compito proprio del genitore in natura,appunto dare sicurezza alla prole, ai cuccioli verrebbe da dire.Andare a sinistra significa ancora stare nelle ‘forme’ civili,nelle regole dellEtica;andare a destra significa recuperare le forme ,per lui precedenti, della morale di natura. Insomma un po’ come Antigone,L.si trova a scegliere tra la Legge formale e la Legge della natura.

Le telefonate . Le prime due sono per la donna che sta per partorire e per Gareth: servono a chiarire la scelta che ,in silenzio, ha appena fatto,quella di assumersi le sue responsabilità,sempre sia nel privato che nel pubblico. Non ancora entra in scena la famiglia,la parte più difficile: il primo contatto è con Eddie il figliolo che lo aspetta in maglietta per guardare la partita alla tv,con salsicce e mamma compresa, disposta ddirittura a partecipare al gioco,indossando la maglietta da tifosa. L’immagine che esce della famiglia da uesta (e dalle altre seguenti telefonate) infondo è appunto quella di una sorta di ‘squadra’ che si riunisce “per giocare a” fare il padre,la madre, il figlio. La partita e la tv sono le coordinate fondamentali della famiglia media della classe media:non se ne dà una immagine negativa,anzi, è una famiglia ‘per bene’, che appunto sta dentro casa a farsi fatti (giochi) suoi. E i giochi sono il cibo, la tv, lo sport. La norma di vita per l’uomo occidentale che identifica la felicità, il benessere, con queste pratiche edonistiche. La famigliola in cui la donna è ancora ‘angelo del focolare’ (è a lei che tocca preparare le salsicce!) e i figli condividono esattamente le stesse passioni del padre per l’agonismo sublimato dello sport. Le tensioni sono vissute là, nella partita degli altri, nel mondo simulacrale dei media:il conflitto in famiglia non dev’essere reale, ma solo un gioco in cui liberare le tensioni nascoste.Coi figli più volte torna recuperare il copione del padre che condivide la passione per qualcosa (la partita) e con loro commenta la partita e costruisce ‘felicità’ Donald , l’operaio. ”È uno scherzo?” “Non ho altra scelta” l’operaio viene richiamato a sua volta alla responsabilità, alla necessità di assumersi una responsabilità,dentro il copione non della professionalità ma dell’amicizia e della fiducia tra persone. Involontariamente comunque L. fa leva sul mito contemporaneo della flessibilità Bethan da un lato la presa d’atto della debolezza della donna che nella sua solitudine non riesce a districarsi con medici. Dall’altro la precisa delimitazione del tipo di intervento che L: sta per fare: non c’è sentimento ma solo ragionamento, anzi moralità. Insomma è Sé autobiografico ,capace di creare una omeostasi artificiale in contrasto con l’omeostasi naturale dello ‘star bene’ (del protosè). La nuova omeostasi consiste nel muoversi là dove ci sia dolore da assistere:tutto qua, umanisticamente proteso a recuperare l’unica profonda qualità dell’uomo, quella di riconoscere nell’Altro il Sé della sofferenza. Il dolore presente è certo della donna,ma soprattutto è il dolore futuro preventivabile che spinge L.,quello del futuro figlio,qualora abbandonato a sé stesso.Certo c’è equivoco:la donna pensa in modo sentimentale (si muove solo in modo sentimentale) mentre lui agisce in modo razionale. Non esiste relazione amorosa: L. sa di star promettendo alla donna quello che non ha, appunto l’amore. “Mi ami?” “Come posso amarti?”“Non possiamo né amarci né odiarci”“Tu mi odi per non aver abortito?” “non ti conosco,quindi non posso odiarti” Una relazione di ‘dovere’, un ‘dono’ del tutto gratuito verso una perfetta sconosciuta, verso il perfetto sconosciuto che è il nascituro. Verso la famiglia (ovviamente nota) L. può concedersi il lusso dell’abbandono: per così dire ha ‘già dato’ Moglie . la telefonata con la moglie conferma il copione già proposto da quella con il figlio. Le parole iniziali sono tipiche della routine borghese.” Amore? Birra, salsicce, maglia!!. L’immaginario che si spezza quando arriva il lento racconto di Locke che dichiara senza trucchi quel ch’è successo.Vuoi davvero che ti dia quel numero per far chiudere quella strada?allora addio Infine lo scontro è tra la dimensione di homo faber tutto dedito al Logos e la dimensione dell’homo psycologicus, capace di cambiare le gerarchie della razionalità, a favore delle passioni presenti e imminenti. Gareth, il capo si adira è torna più volte a richiamare L. al suo compito, al dovere ‘contratto’ col contratto. L’argomentazione è varia: l’autorità dei capi d’oltreoceano;le dimensioni agonistiche del progetto; la natura pericolosa della materia da trattare. “non è un gioco” ho preso una decisione, non ha nessun altro che le stia vicinoGioco (copione) è quello di capocantiere (facile da sostituire in fondo:nelle imprese in effetti uno vale l’altro, rotto un congegno lo si sostituisce subito, come mostra lo stesso Locke),invece il copione dle padre naturale è ‘ontologicamente’ necessario. Per l. è ineludibile.”non tornerò indietro”. Per gareth sono in ‘gioco’ milioni si sterline’ e questo l’unico paramtro ‘morale’ in base a cui scegliere. La gerarchia di valori dell’economia è ovviamente antiromantica (gli devi andare a tenere quella cazzo di manina) e utilitaria al massimo: quel che conta è l’efficacia, il risultato della specifica performance messa in atto ‘qui e ora’. L’homo faber che costruisce case è contro l’homo faber che costruisce relazioni. Il male è la perdita di sterline, non il ‘dolore’ di qualche persona.Una volta licenziato L. si intestardisce a voler ‘finire’ il lavoro iniziato:“Voglio che la colata di domani vada bene,e non è per i soldi. Lo voglio per me stesso, per il palazzo e per il calcestruzzo”. Entra in ballo un altro modo di essere dell’homo faber: l’umano dà senso alla sua vita proprio nel fare progetti ‘artificiali’ ma soprattutto nel portarli a termine in sé,per il gusto del lavoro ben fatto. È in fondo lo stesso copione del ‘padre ritrovato’: ha iniziato una cosa (un rapporto sessuale) e deve portare compimento il ‘lavoro’ (siamo qui sul piano dell’omeostasi naturale); nel campo del lavoro il lavoro è una scelta in ogni caso,volontaria, e la qualità dell’essere uomo consiste proprio nello svolgere quel ‘gioco’ che è il lavoro, il compito, il copione che si è assunti. Tutto qua :l’umano dà senso nello scegliersi una direzione e nel mantenerla, costi quel che costi. È la sfida al ‘sublime’ in fondo. È l’impossibile che diventa possibile.Anche qui si declina la parola ‘responsabilità’: per me, per il palazzo, per il calcestruzzo. L’homo faber si sente responsabile di quanto combina e rispetta quello che è il risultato della sua azione, roipsetta la materia che da inerte diventa viva e attiva“Perché non ti sei dato malato? Perché non sono malato” il capo si limita ad eseguire gli ordini,vorrebbe aiutare L. e lo rimprovera di non aver fatto il furbo, secondo la cinica logica dell’opportunismo narcisistico che oggi – a partire dagli alti livelli – impera. La semplice risposta di Ivan è proprio di chi procede lineare (sono sempre lo stesso) con gli stessi principi dell’Io devo che si è dato una volta per tutte. Monologo Guardandosi allo specchietto retrovisore,L. instaura ad un certo punto un dialogo immaginario con il padre morto, rivelando progressivamente il trauma che è all’origine della situazione. Il trauma presente è solo una rilettura di un trauma antico, ma non del tipo freudiano (sesso ecc.). odio feroce per una sicurezza negata,per un ordine (artificiale,umano) distrutto. È chiaro che le azioni di l. quindi non sono se non davanti allo spettatore, al Grande Altro, all’Altro sbarrato di cui parla Lacan :il trauma è semplicemente la scoperta che nel mondo non c’è regola, non c’è ordine, che le cose creano solo dolore; e anche adesso è lì che torna il pensiero di L. all’idea che l’uomo è chiamato davvero ad una sola cosa, creare ordine là dove può, a partire appunto dal più ovvio degli obblighi, dalla più elementare delle relazioni, quella tra genotore e dicsndenza.La coscienza di L. si costruisce sempre più come una scena teatrale in cui i personaggi vengono evocati (tramite il telefonino) o tramite i frammenti di memoria personale e ognuno interviene a ribadire il suo ruolo più e più volte per confermare la costruzione progressiva e sicura del Sé autobiografico nuovo in l., comunque sempre alla ricerca di quell’Ordine (quel Bene) che il padre distrusse anche quando tornò come se nulla fosse successo, come un bambino disordinato e incosciente, debole e stronzo. Pericoloso anche per aver risvegliato il mostro della distruttività, la natura semplice del Sé nucleare che si corrobora a forza di eliminare tutto quello che disturba. “vado dritto nel peggior posto del mondo per me, perché vedi questa donna è sola e molto infelice”“come può essere questa la differenza tra il bene e il male?” “guarda e impara,al mio arrivo ci sarà un uomo nuovo”Lungo il viaggio L. prende sempre più coscienza del senso di quel che sta facendo, capisce che al fondo il problema non astrattamente etico (il Bene o il Male in assoluto) ma e concretamente personale, nel senso che tutto si risolve nel tipo di uomo che si vuole essere , che il vero e il male sono dettati dalla situazione e che è allora che nasce la storia, che l’individuo diventa tale. Non abbandonarsi alle semplici pulsioni del protosè (il padre,il richiamo al dannunzianesimo delle emozioni,della densità del vivere),non affidarsi alle regole della società,alle forme etiche preconfezionate,ma dolorosamente scoprire il proprio Sé nella faticosa necessità di dare senso e ordine ad un trauma, ad una incidente che chiama a uscire dall’Immaginario per fare i conti col Reale. Ecco in questo spazio ,solo qui, emerge la vera capacità di essere Responsabili. E questo si dà non mettendo in qualche modo insieme tutte le componenti in gioco, ma scegliendo dolorosamente, de – finendo, tracciando linee di confine nette, e appunto dolorose sempre. Anche sul paino del lavoro andrà contro le regole, si rifiuterà di rispondere a Gareth, di rispettare i contratti ..“tornerà tutto ok” dice al figlio più grande,ma già in una nuova prospettiva da divorziato. Questi filgi non verranno lasciati, solo la moglie scomparirà.Ora so perché l’hai fatto, perché sei fuggito via” Infine ,sperimentando la melma che gisce sotto la superficie, arriva perfino a comprendere la scena che porta il padre a scappare di casa. I problemi di casa appunto, che prima o poi emergono, stanno lì a turbare il quadro immaginato.

Tremore dell’immagine frontale alla fine, dall’esterno Il visore La strada è ‘retta’ anche perché c’è un lettore stradale che rinforza la direzione Complicazioni La strada della scelta difficile è irta di ostacoli. Ogni impedimento introduce una nuova prova di ‘maturità’: l’eroe acquista mano a amano consapevolezza della superficialità delle situazioni precedenti (immaginario) La maternità impone la scelta tra attesa per il parto naturale e il cesareo (per un cordone ombelicale avvolto al collo)La colata:l’assenza di permessi stradali,l’assenza di addetti alle riparazioni. L’esercizio è una dimostrazione di efficienza e di motivazione nei confronti di Ronald,che alla fine agisce superando le paureLa moglie quel cazzo di sorriso forme La tesa drammaturgia del film è imbastita sull’intreccio di queste conversazioni, , ma non meno incisivo è il mobile gioco di angolature (tre camere digitali) sul viso di Locke che, pur sempre sotto controllo e senza alzare la voce, tradisce il profondo turbamento di un uomo sul crin


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