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L'uomo postmoderno in AMERICA OGGI di Altman

TITOLO

“S

Per cominciare un'immagine quieta e rassicurante quella che sta qui a fianco: una giovane mamma che imbocca il bambino. ma ascoltare le sue parole ci porterebbe immediatamente dentro la confusa dimensione della umanità contemporanea: al telefono sta guadagnandosi da vivere, recitando la parte oscena di una prostituta che accontenta con parole sconce i desideri repressi di un maschio anonimo che a sua volta è in capace di avere relazioni concrete con persone concrete .

E' solo una delle storie paradossali e umanissime che compongono il film di Robert Altman che in Italia è apparso con il titolo di "America oggi" ma che negli USA è stato proposto con quello di "Short cuts”, ovvero scorciatoie, per parafrasare quello del testo letterario da cui prende origine l'idea dell'opera, Short stories di Raymond Carver.

Il titolo allude in effetti alla dimensione antropologica fondamentale della umanità di oggi: vie brevi, banalizzazioni, non riflessioni, appiattimento sul presente, assenza di sforzo e codice simbolico, adeguamento al non sense della vita reale, del caso, delle forze esterne.

Scorciatoie rispetto all’intensa fatica con cui il moderno costruiva la sua esistenza, prolungando lo sguardo lontano dallo spicchio di realtà in cui abitava, per proiettarsi lontano nel tempo (progetto, utopia) e nello spazio (l’altrove..): scorciatoie, rifiuto della difficoltà, della fatica del vivere, e quindi ancor più privo di senso, senza centro di gravità, senza meta,senza tessuto”

Quindi frammenti di una fenomenologia critica sull’America che assume la forma parcellizzata dell’aforisma o dell’epitaffio, mimando con l’astuzia della ragione i linguaggi dell’avversario per nascondere dietro l’apparenza di un minimalismo espressionista un progetto di messa a fuoco “massimalista” sui destini dell’America e del mondo”. (Gianni Canova, Robert Altman, Script/Leuto)

In rapporto al problema della identità, affiora quindi l’immagine negativa della ‘gente’ :la società di massa perde anche il riferimento alla grande promessa della solidarietà, di un futuro migliore, a patto di modellare la propria identità su icone precise , alla stregua degli ‘eroi’, e ci si ritrova ad essere frammenti, monadi senza finestre, davvero incapaci di percepire scertezze nelle relazioni , anzi di vderele come minacce per la propria dimensione di esistenza. Se si ha sempre bisogno dell’altro per avere riconoscimento, sicurezza, l’altro è anche però visto in termini strumentali, come occasione da cogliere nel momento, senza implicarsi e lascairsi implicare, in modo da avere corazze e senso di autosuffcienza, precaria ovviamente e fragile. In mancanza di uuna prospettiva aampia dello spazio sociale de del futuro si contenta di vivere qui e ora.

D’altra parte una lettura deleuziana da parte di Zizek (in Organi senza corpi) sottolinea da un lato la negatività appena indicata (nella prospettiva del ‘riconoscimento’ di ordini di prevedibilità, di conferma del ‘senso’ dell’ ‘essere’ (del permanere di elementi granitici della nostra visione del mondo)ma anche la positività della situazione straniata del film (nello spostamento, nella liberazione dal determinismo).

Così per Z. l’universo altmaniano è fatto senz’altro di “incontri contingenti tra una moltitudine di serie,un universo in cui serie differenti comunicano tra loro e risuonano a livello di quella che lo stesso Altman denomina ‘realtà subliminale’ (shoks meccanici privi di significato,incontri intensità impersonali che precedono il livello di senso universalmente riconosciuto”.

Ma è anche vero che per Z. bisogna ridurre alla tentazione di ridurre A. a cantore dell’America alienata, alle prese con la disperazione silenziosa della vita quotidiana: c’è un altro A.quello dell’aprirsi verso gli incontri contingenti piacevoli. Quello che sottolinea come il Divenire possa riservare possibilità altre rispetto a quelle previste dall’ Essere (dalla permanenza).

TRAMA

La trama racconta una storia che ogni giorno si racconta da sé nelle strade di tutte le nostre affollate città, ma che non siamo in grado di percepire se non attraverso il filtro della sensibilità artistica. Essa gira attorno ad una concatenazione di eventi che permettono di delineare i tratti di diversi nuclei famigliari.

L'evento cardine colpisce la famiglia Finnigan, composta da Howard (B. Davison) famoso opinionista televisivo, sempre molto impegnato dal suo lavoro, la moglie Ann (Andie McDowell) madre a 360° molto apprensiva nei confronti del figlioletto Casey. Proprio Casey, mentre si sta recando a scuola (mentre la madre è ad ordinargli una super torta di compleanno) viene investito dalla cameriera Doreen (Lily Tomlin), spaventata e con forte senso di rimorso questa si assicura delle condizioni di Casey, che sembra essere fortunatamente illeso offrendogli un passaggio all'ospedale, che il bambino rifiuta come da indicazione della madre (non accettare passaggi da sconosciuti). Al rientro Ann trova il figlio intontito sul divano, che fa giusto in tempo a raccontargli dell'incidente prima di cadere in coma. All'ospedale Casey viene subito soccorso da un giovane e promettentissimo medico Ralph Wyman (M. Modine), giovane uomo dai sani principi, un po' all'antica che è oppresso dall'ombra di un vecchio tradimento della giovane moglie Marian (J. Moore). Marian è una pittrice di medio-basso livello sempre in cerca di nuove coppie di amici con cui condividere delle piacevoli serate, come i Kane. Marian ha inoltre una sorella Sherri (M. Stowe) sposata con un poliziotto Gene (T. Robbins) egoista e tutt'altro che impeccabile sia come padre e marito sia come poliziotto, infastidito dal cagnolino dei figli e in cerca di nuove amanti. Tra le amanti di Gene c'è anche Betty (F. McDormand) la tipica mangiatrice di uomini, continuamente infastidita dall ex marito e padre del figlio, Stormy pilota di elicotteri che si vendicherà in una maniera molto particolare. All'ospedale, dal piccolo Casey comparirà dopo ben 30 anni il nonno Paul (J. Lemmon), che approfitterà della situazione per ricongiungersi al figlio Howard spiegando i motivi del suo allontanamento. Paul si dimostrerà particolarmente distaccato dal nipote mai visto, interessandosi molto di più sulle condizioni di un giovane ragazzo ricoverato nello stesso reparto. Intanto Doreen, la cameriera ripenserà con ansia allo spiacevole evento, afflitta anche da un rapporto burrascoso con l'alcolista Earl (T. Waits), autista di limousine. Earl incontrerà anche la figlia Honey (L.Taylor) convivente del truccatore e pervertito, oltre che poco rispettoso Bill (R. Downey Jr.) che occuperanno la casa dei vicini in viaggio. Amici della giovane coppia compaiono anche Lois (J.Jason Leigh) che gestisce 24 ore su 24 una hot-line casalinga in presenza dei piccoli figli e il marito Jerry (C. Penn) che sembra vivere male il lavoro della donna, covando nell'animo forti istinti di perversione verso giovani donne, tra cui la giovane Zoe (L. Singer) che vive vicino ai Finnigan con la madre. La giovane ragazza interessata solo alla musica con qualche disturbo dovuto ai rapporti burrascosi con la madre e l'assenza del padre morto di overdose molti anni prima, risentirà dell'incidente a Casey e del distacco della madre Tess verso questo tragico avvenimento. Infine la famiglia Kane, formata da un incallito pescatore disoccupato (F. Ward) che pur di pescare non denuncerà subito il ritrovamento del corpo di una giovane donna, e la moglie Clair (A. Archer), clown di professione che vivrà male il gesto del marito. E infine il pasticcere che tempesterà di telefonate minacciose la famiglia Finnigan. a causa del mancato ritiro della torta!

FORMA

Complot vs plot (complessità, rete vs libearità)

Gli incroci che facciamo con gli Altri, gli sconosciuti, nel plot sono funzionali alla prospettiva centrale del plot su cui si è focalizzata l’attenzione del narratore, mentre nel complot diventato altre linee di sviluppo, in parte autonome, in parte causa in parte effetto di incroci, di derive e cambiamenti nelle ‘linee’ di sviluppo delle vite degli Altri.

Non c’è un protagonista principale in quanto ogni personaggio (persona) ha una sua specifica centralità, ma limitata nello spazio tempo in cui appare sulla scena: il regista, a differenza di Carver, infatti non fa l’entomologo che si accontenta di studiare una alla volta le singole situazioni minime di individui comuni, magari con empatia e orrore, ma le interconnette a sottolineare come non esista l’individuo, non esistano destini individuali, come la rete sociale detti i limiti e le possibilità delle vite umane.

E per far questo Altman decide di creare uno spazio, una scena di rappresentazione, lontana dalle province anonime delle comunità americane (che nel sogno americano rappresentano l’inferiorità, l’arretratezza, il tempo fermo rispetto alla ‘gloriosa’ affermazione delle metropoli ipercinetiche e ricche di promesse) e centrata proprio sulla città \ non città,Los Angeles, urbe senza centro, spazio di relazioni e di spettacolo sociale (cfr. Goffman, l’attore sociale), luogo \ non luogo per eccellenza. Entro questa scena si muovono le vite intrecciate di varie coppie, persone, gente qualunque, anonima, che ha perso il baricentro del senso, che vive entro derive di inautenticità e disordine.

Un po’ come l’ orlando Furioso, A.O. col complot costringe lo spettatore a dubitare del senso della storia, a interrogarsi sulla direzione dei fatti, delle connessioni probabili: l’unica vicenda topica è qualla dell’incidente al bambino, che crea suspence e coinvolgimento, mentre per il resto si tratta di situazioni banali e a volte irritanti.

Naturalmente si è davanti a scelte consapevoli di un autore che ha una sua ‘intenzionalità’ e si tratta di ricercare nelle immagini che si susseguono le tracce di questa intenzionalità, utilizzarle come indizi di un progetto di senso da ipotizzare: insomma la varietà urticante delle situazioni è da rileggere come una ‘isotopia’, come un testo che in superficie ci propone delle varianti ma che nel profondo torna a ridire lo stesso messaggio; e importante per lo spettatore anche rilevare il modo in cui si collegano i segmenti, secondo le due diverse procedure della metonimia (cibo\cibo) e della analogia, per creare fluidità e ricorsività. Insomma l’ipotesi di senso deve’essere sempre viva fin dalla prima scena, per poter continuamente riconfermarla, nelle forme diverse che seguono .

Naturalmente in casi del genere si tende a parlare di epica, di coralità: non è questa la scelta di A., che invece ha probabilmente l’intenzione suprema di ‘dire’ la dissoluzione della società, non la sua omogeneità (anche nella negatività). Semplicemente la società comunitaria che coopera in qualche direzione si è volatilizzata.

Ci sono famiglie, ci sono vicini di casa.

Ogni famiglia è per lo più una precaria sovrapposizione di solitudini autoreferenziali : esempi

Le relazioni tra vicini sono precarie necessità formali e sostanziali indifferenze alle esistenze altrui,ai loro bisogni di riconoscimento.

L’esistenza non ha più progetti da realizzare ma situazioni immediate da risolvere, problemi a cui non si sa che soluzioni dare, problemi a cui si danno soluzioni estemporanee. Si mira alla routine, ci si rifugia nella quiete delle proprie isole esistenziali, ammesso che sia possibile costruirle.

E allora gli incroci di persone dettate dallo spazio della metropoli creano prima o poi l’occasione in cui la maschera, la scorza non basta, bisogna accorgersi dell’altro e prendere posizione, non si può più fingere anaffettività (Sennete: sono esperienze epifaniche, sfida al mimetismo conformista alla Zelig.

Ed è costante anche quell'impossibilità a comunicare che rende le esistenze di ognuno più problematiche: la moglie finalmente riesce a parlare col marito medico di un suo problemino coniugale dopo violente sollecitazioni emotive, i genitori del bambino come racchiusi in due teche differenti finalmente trovano il modo di comunicare al capezzale del figlio morente, un nonno che non ha mai visto suo nipote forse trova la sola occasione sbagliata per conoscerlo finalmente, la moglie che lavora a una hotline telefonica da casa non si accorge dei problemi che ha il marito, la figlia violoncellista che sceglie il suicidio proprio perchè non ha altro modo di evidenziare il suo estremo disagio agli occhi della madre.

la famiglia? Diverse generazioni rappresentate da diversi nuclei famigliari con diversi status sociali, descrivono un habitat emotivo statico, freddo e egoista, privo di sogni e emozioni. Un affresco minimalista congelato, senza aspettative e senza emozioni trainanti, ma solo oppressioni nella famosa e calda città degli angeli.

TEMI

  1. La morte : -

  • La ragazza nel fiume: violenza subita (si scopre alla fine); mancanza di pietas da parte dei pescatori (‘piacere’ – o ‘felicità? – più importante dell’etica)

  • Bambino: superficialità adulti (la mamma lo lascia andare da solo; l’autista non lo vede; il dottore è superficiale, attento a sé)

  • suicidio a. come ‘punizione’ della anaffettività della madre b. nel racconto della clown, l’insegnante che voleva far avere emozioni e vietava la tecnica

  • costante: muoiono i giovani, gli esclusi, i non accomodati

  • 2 Il gioco

  • Bambini

  • Professione per La clown

  • Uovo nostalgia per il nonno

  • Sadomaso per coppia truccatore

  • Strada, basket per Zoe (ma anche ‘messa in scena’ di suicidi)

  • Di società in cena in terrazza , poi mascherata; poi trance, mescolanza

  • ‘a la hawaiana’ trasformazione, risemantizzazione del banale (‘festa’) per la coppia roulotte

  • 3. La tv :onnipresente, sempre accesa,moloch ; tragedia al giornalista tv

  • 4.La musica : jazz vs classica ; vittimismo autoreferenziale del blues (malinconia, depressione,nostalgia senza futuro,anaffettività, assenza verso il presente, la figlia; rifugio nella micro comunità jazz) vs aspirazione all’assoluto, senza parole, gravitas,non senso (attenzione all’altro, vitalità nel ‘gioco’ di strada, all’aperto non nel chiuso del club, richiesta di affetto)

  • 5 cronotopi

  • Club

  • Fast food

  • Camping

  • Terrazza

  • Strada

  • ospedale

  • interni case

  • naturA

  • 6

  • eventi

  • inizio, elicotteri che fanno disinfezione sulla città di Los Anageles: sporco\pulito; ‘civiltà’ vs ‘natura’; istituzione(indifferente) vs individuo

  • morte di Casey: il bambino che va da solo per la strada, senza la cura del genitore; autonomia ? prova similare al Pollicino abbandonato nel bosco. incroci di casualità, emergenza di vite qualunque

  • fine, terremoto: natura ‘indifferente’ personaggi - che non sono "protagonisti" - si tormentano e si deludono a vicenda; umiliati, stizziti, offesi, feriti si allontanano l'uno dall'altro, in attesa che qualcosa torni a unirli, e questo qualcosa arriva dalla profondità della terra: non è il giudizio del regista, il sisma purificatore, ma è l'elemento unificante, che, come la morte, rende tutti uguali e regala un unico momento rivelatore a chi festeggia la via inconsapevole del dolore che ha causato, a chi piange il sacrificio della grazia, a chi libera l'orrore che ha covato nel cuore per anni, a chi affronta il proprio torturatore senza il piacere della vendetta, a chi scopre la rovina della propria esistenza. nel finale, troviamo in mezzo allo squassamento del terremoto, nel suo epicentro - noi tenuti a maggior distanza di sicurezza, noi impossibilitati a intervenire, noi esasperati, e commossi, da questo film monumentale dai tratti essenziali - gli occhi sgomenti del marito sorpreso con la pietra insanguinata in mano; tutta cade allora al suolo questa leggerezza.E altrove, nel breve sisma, c'è chi brinda ancora, chi canta la sua disperazione, chi è scosso da una momentanea passione, chi prova un briciolo di pietà (seppure di circostanza) come il pasticcere, chi cerca riparo davanti allo sguardo impassibile della tv, unica superstite di un appartamento disastrato... E poi la vita che continua, lo spettacolo deprimente che continua, l'apocalisse e i deserti televisivi che continuano.

scena topica : taxi

  • movimento estetico vs movimento funzionale: il flaneur che va in giro non per guadagnare ma per il gusto di di muoversi, in sè, però, senza attenzione all'esterno (come il flaneur baudelairiano), ma rinchiuso verso il proprio narcisistico bisogno di sicurezza e di densità di jouissance

  • precarietà allora, totale abbandono alla situazione, rifiuto del lungo periodo, della prospettiva del progetto

  • Amore \ sesso come spettacolo

  • Dioniso vs Apollo

SENSO

Geniale allegoria della esistenza postmoderna è la vita in una metropoli, in cui ci si sfiora quotidianamente, permanentemente estranei. E la meschinità, sì, scaturisce proprio da quel vano senso di libertà che ci deriva dall'illusione di attraversare la metropoli restando estranei, di sparire, insieme ai nostri meschini tradimenti e alle nostre bassezze, senza farci vedere nè da un dio, nè dai nostri cari che tradiamo.

È l’Io eterodiretto di cui parla Riesman,

un io decentrato e fluido

ansioso di conferme e di riconoscimento (il dottore nella fedeltà della moglie pittrici; il pasticciere nel ritiro della torta; il marito della porno telefonista nella relazione sessuale

mosso da desideri inquieti e senza oggetto, fissato nella contingenza della precarietà delle situazioni hic et nunc

flessibile e passivo di fronte alla manipolazione: la telefonista che vende il suo tempo e la sua energia libidica ai comprtatori senza volto e nega la sua umanità al marito è la chiave fondamentale per capire l’alienazione della relazione impersonale (basata solo sull’efficienza, sull’utile) che caratterizza per coazione la vita del postmoderno, in cui il lavoro espropria di tutta la dimensione dell’affettività, distorcendo anche nelle più buone intenzioni il piano delle relazioni personali: la telefonista lavora in casa, assiste i bambini, ma lo fa per ‘risparmiare’, sempre secondo la logica dei soldi (rimprovera il marito che rifiuta i dollari del nero al club: ci avrebbero fatto comodo), e non si rende conto che uccide la dimensione profonda dello satre insieme (riconoscimento, conforto, condivisione del ‘desiderio’: se il marito la vuole è per ‘mimesis’, per avere quel che lei ‘spreca’ nel lavoro). E infine se il marito finisce per aggredire una delle ragazze capitate a incrociare il loro picnic è solo perché il suo desiderio di ‘piacere’ è in effetti nel desiderio di riconoscimento, nel fatto di non aver avuto dalla relazione con la moglie quel ‘segno’ simbolico di condivisione. E allora il desiderio diventa pulsione brutale, improvvisa, incontrollata.

Poi c'è anche un comun denominatore, a questi frammenti: ed è che sempre il maschio è il più vile e il più meschino. La quasi totalità delle figure maschili del film è una figura negativa, che sia frustrato o vile, più spesso diventa violento e vendicativo. Ignavi e insensibili: e quasi sempre c'entra il sesso. E la prevaricazione sulla donna. Invece nessuna, o quasi, delle figure femminili di questo film, è altrettanto meschina. Quasi sfugge, ma nessuna di queste donne è carnefice, e invece quasi ognuna è una vittima. Sino alla giovane violoncellista silenziosa, che cede all'orrore dell'indifferenza per la morte di un innocente, e quasi assomma su di sè tutto il male, capro espiatorio e vittima sacrificale.

Bontà disinteressata, colma di amore e accondiscendenza della cameriera di fast food che si occupa di un problematico autista di limousine. Così come ci illumina la maniera in cui una dolcissima moglie sopporta l'arroganza, le menzogne e la stupidità del fanatico marito poliziotto, la generosità della giovane madre che per far andare avanti la baracca e crescere i piccoli in casa si reinventa telefonista porno, andando contro ogni pregiudizio e senso di non appartenenza, contro la sua natura di madre e di moglie affettuosa.

Valorizzazione della differenza femminile, della capacità etica femminile della ‘cura’

Il sentire comune (l’efficienza che è però ormai indirizzata ad un obiettivo grande e sociale -quale l’onore del far bene il proprio lavoro, la solida sicurezza della famiglia rifugio, la crescita generale del sistema sociale- ma solo la propria limitata condizione di ‘piacere’, quiete o adrenalina che sia)ci invita a stare ognuno al proprio posto, praticando una sorta di diserzione emotiva per raggiungere il governo dei sentimenti di fronte al ginepraio ingovernabile della complessità (del mondo delle cose, delle relazioni, della propria interiorità). Il riduzionismo cognitivo ed emotivo per parare la percezione di una crescente complessità del sistema esistenza, nel momento in cui cresce l’individualismo, si afferma imperioso il fai da te a tutti i livelli (quando vengono meno le difese, le cure, le protezioni di ina società qualunque, a partire dallo stato sociale), ovvero l’indifferenza verso l’altro, come guadagno di energia, come narcisistica forma di autocelebrazione autodifesa, come riduzionismo metodologico (più economico badare a uno solo che a tanti).

Contro l’egemonia di questo sentire comune (questa trasformazione dell’uomo economico in uomo psycologicus, cioè attento unicamente alla gestione del contesto presente in termini di ‘benessere’ cioè piacere), appaiono come forma di resistenza solo quelli che sembrano i più deboli, i ‘dissidenti emotivi’ (Zamperini) che passano quasi inosservati sui palcoscenici pubblici,magari condannati a finire tra gli scarti (Bauman).infatti sono loro che sono davvero capaci di misurarsi con l’effettiva complessità della situazione lasciandosi coinvolgere (Jack Lemmon in tutte le sue mosse, è sempre attento a stare lontano – ieri come oggi –a controllare, ad avere solo auto conferme). Essi non vivono le emozioni solo come puri accadimenti intrapsichici, da sorvegliare e gestire in modo ‘razionale’, alla stregua dei manager, bensì come risposte personali alle esperienze incontrate, come indicatori delle cose da fare o da evitare.

E non è allora casuale che A. insista sugli ‘incroci’, perché è nelle situazioni ‘occasionali’ che emerge comunque un tessuto di emozioni che incrina lo scorrere quotidiano delle routine emozionali e la nuova situazione chiede di prendere una posizione, di valutare cioè quanto capita e di scegliere poi la propria posizione di responsabilità

Il dono dunque come soluzione?

Il dono come evento simbolico che rivela consapevolezza della propria debolezza, l’autopercezione di sé come individuo sempre potenzialmente contestato da fattori dissonanti e incontrollabili che fanno rinascere prepotentemente il desiderio della ‘condivisione’(Blanchot). È la testimonianza del rinascere ella fiducia quale unica risposta al bisogno di comunità e legame: fiducia che appare come una scommessa , come assunzione attiva del rischio. Insomma il dono (Mauss) ha una sua normatività non razionale (costo\ guadagno) ma antropologica, emozionale, nel fatto che gli uomini ‘devono fare’ quel che già fanno 8cioè donare in vista di qualcosa di improbabile..). attraverso il circuito simbolico dare – ricevere – ricambiare (in cui ognuno partecipad ella vita degli altriin un intreccio opaco di obbligo e libertà, si attiva una normatività relazionale, non determinata da regole precise, non istituzionalizzata,ma attiva nella relazione sociale prima e al di là delle singole scelte individuali. È quindi una normatività dinamica, incapace di regalare sicurezza definitiva, ma che trasforma l’incertezza del quotidiano asfittico in valore,: il dono infattio accomuna nell’incertezza, tensione che nasce dalla mancanza, dalla debolezza, dalla ferita, che è capace di sopportare l’incertezza della risposta dell’altro in quanto nasce da un ‘bisogno’ specifico dell’io. Insomma il dono non costruisce comunità perfette ma si limita a riaffermare la possibilità antropologica del legame, in sé mai garantito, determina vita dall’inadeguatezza (dalla non vita).

Il dono come atto concreto, però, non come teoria di impersonali forme di solidarietà, ma come attenzione specifica alla differenza e all’unicità concreta di un altro concreto, non generico (vs ‘compassione’ spettacolare della televisione ecc.).’responsabilità dello sguardo’ quindi (Levinas), messa in gioco della specifica situazione. oltrepassa le differenze , è alla lettera ‘sim – bolon?, quel che unisce.

E gli altri, che comunque qualche parvenza di buoni valori la fanno apparire, quasi sempre si riducono all'alcolemia o all'uso di droghe per sopportare quel sentimento di sconforto che porta loro il vivere in questa società, che appare nel film come un palcoscenico nel quale si attua una commedia farsesca, piena di controsensi e di bruttezze, di avvenimenti grotteschi e disarmanti.

Il carnevalesco, il brutto, la follia, la diversità, il gioco come consapevolezza?

I giochi promettono l’eterno ritorno, liberano dalla linearità della vita e della morte,non domina il caso,ci sono ‘regole’, non leggi, regole che in quanto convenzioni sono semopre sostituibili e rinnovabili in una dimensione non finita, che scaccia la morte, il finito appunto, che consente di rinnovare di rinascere. Il clown, l’assunzione dello schema della maschera per allontanare l’incubo della morte: i quattro sul terrazzo hanno in comune due morti angosciose, negate, quella della ragazza nell’acqua e trattata come ostacolo, e quella del bambino, colpevolmente favorita dalla sottovalutazione. La morte sullo sfondo va cancellata nell’orgia dionisiaca dell’alcool e del gioco, prima stanco rituale di società, poi arricchito dalla pratica clownesca della inferiore rispetto alla presunta capacità creativa della pittrice succube della sua ripetivitità (nudo è l’oggetto dell’arte, nuda si mostra al marito duranrte la confessione della debolezza). I colori, i capelli, la notte..

Questi personaggi sono forse quelli più inetti, quelli che sembrano non portare nulla di buono al progresso, ma che in realtà sono le pietre preziose della società, e forse proprio per questa loro consapevolezza si trovano disadattati e agli ultimi posti della corsa al comando. La salvezza arriva dai caratteri più deboli a accomodanti, e sotto questo aspetto sarebbe stato forse interessante amalgamare a questi vissuti quelli di preti, presidenti, insegnanti, ricercatori scientifici..


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