CABARET:emozioni,musica e nazismo
- brunovetich
- 10 gen 2016
- Tempo di lettura: 21 min

CABARET Bob Fosse ,
“il realismo economico e politico è una grande scuola di sottomissione. L’individuo può sguazzarci e il soggetto non vi può accadere. Perché un soggetto nasc e dall’incontro non calcolabile del possibile ignorato, al quale si annoda un divenire soggetto”
Alain Badiou, Metafisica della felicità reale, Derive Approdi,2015
Problema
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Il Novecento ha conosciuto il sorgere, il trionfo e (a volte) la caduta del Totalitarismo.
Naturalmente nel mainstream questo fenomeno immediatamente viene identificato con i fatti storici più eclatanti: il Fascismo, il Nazismo, lo Stalinismo, che però si sono manifestati non solo nei paesi in cui hanno avuto origine (Italia, Germania, Urss) ma anche in tante altre parti del mondo,magari con nomenclature e personaggi apparentemente non del tutto diverse. Ad esempio,nell’ambito della cosiddetta controcultura,a partire dal secondo dopoguerra si parla di “tele fascismo”: il fascismo cioè non si manifesterebbe solo come violenza diretta, ma come violenza sistemica; e sarebbe presente quindi nei paesi democratici in cui dominano i mass – media. In essi le forme della politica sono certamente ‘democratiche’ (libertà di stampa, elezioni) ma nei fatti quelle procedure sono semplici ‘riti’,svuotato della sostanza deliberativa che dovrebbero avere.
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Per dipanare questa situazione, è bene – ovviamente – procedere con metodo filologico[1]: quindi prima cerchiamo di delimitare il campo della questione (de – finire) e poi sperimentare (procedere per via induttiva),ovvero esaminare ‘dati’ che ci permettano di ‘osservare’ in vitro i modi in cui si manifesta il fenomeno.
Nel caso nostro scegliamo non veri e propri episodi storici – su cui si muovono con metodi e misure adeguate gli storiografi - , ma dei ‘testi artistici’ (come sono di fatto anche i film) : essi,in quanto ‘testi’,[2] sono evidentemente ‘costruiti’ in modo tale che non si limitano a raccontare una storia (cioè a mettere insieme dei fatti in modo da costruire uno script in cui fatti dispersi acquistino senso in una struttura di successione lineare guidata dal criterio prima -poi) ma immettono nelle menti dello spettatore /lettore una mappa mentale capace di orientarlo, di guidarlo – successivamente – mentre affronta il fluire delle cose che accadono, in modo da dare loro un ‘senso’, da ‘riconoscerle’. Insomma, per dirla in modo filosofico, i ‘testi artistici’ consentono di arrivare all’”universale” (mappa,idea) proprio a partire dal “particolare” (storia,racconto).
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Quali,allora,i segni (parametri) con cui identificare il fascismo?e il nazismo?
Ipotizziamo che il fascismo si possa riconoscere – sul piano antropologico- attraverso due tipi di comportamento,cioè il fatto di
far prevalere nella vita soprattutto la ‘densità’ delle emozioni (vitalismo). Valutare quindi quel che accade attraverso i sentimenti, le passioni (pathos) a totale detrimento dell’analisi, dell’argomentazione (logos). Contrapporre l’ “Autentico” alla “Forma”[3], la Velocità alla Lentezza[4]. La ricerca dell‘Adrenalina’ alla ‘Ricerca’.[5]
affidarsi dunque,per risolvere i problemi complessi,ad una Fonte di Certezze, che può essere una specifica Persona dotata di Carisma (Duce, Fuhrer, Caudillo, Master, Guru..)[6] o anche un Credo (di carattere Sacro o Laico che sia, cioè un Verbo,un Libro, un Protocollo). Insomma la Legge del Padre come nicchia di ‘sicurezza’[7]: in concreto la Tradizione, la Patria, ovvero l’Identità che deriva dall’appartenenza ad una Comunità (Heimat, tribù, clan, ultras..)[8].
Il Nazismo in particolare accentua questa promessa di Certezze esasperando il concetto moderno di razionalizzazione:
La compartimentazione, la specializzazione, la separazione delle ‘cose’ in categorie ‘pure’ e ‘impure’ , sono le pratiche che consentono di raggiungere l’ Ordine (sociale,tecnico) con ‘efficienza’ ed ‘efficacia’[9]
In definitiva, è vero che le equivoche rappresentazioni del “senso comune” assegnano al fascismo e al nazismo gli alti connotati dell’ idealismo, ma di fatto non hanno molto a che spartire con l’idealismo platonico, bensì più banalmente con i sogni a occhi aperti che caratterizzano tutti gli individui che semplicemente rifiutano di diventare Soggetto e si limitano ad accettare ‘realisticamente’ le cose così come stanno e, all’interno di questo recinto, limitarsi a muoversi sotto la spinta di una ricerca del benessere (una jouissance) che si immagina propria ed è – al contrario - etero diretta.
L’adesione al fascismo nasce dalla resa al ‘reale’, dalla rinuncia a dare – con fatica - una impronta umana al reale, per abbandonarsi alle sue “leggi”, o meglio a quelle che il Potere che dà forma alle cose (che crea in – formazione) propone come “leggi” della natura. La legge della lotta per la vita, la legge del più forte, la legge del più adatto sono le “leggi” che sovrastano progressivamente all’inizio del Novecento le antiche leggi sapienziali del ‘conosci te stesso’ e del ‘ niente di troppo’.
L’adesione al fascismo è favorito dall’ abbandono al dominio dei sensi,al narcisismo,al facile sogno di sconfiggere l’Altro che mi sta vicino e si oppone al mio godimento, non più la natura.
Parole come Patria o Heimat, cariche di storia, vengono proposte come una via breve alla conquista di un senso, altrimenti impossibile.
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Quali le situazioni in cui si affermano queste tendenze?
Dopo le delusioni della Modernità, dopo che alle promesse segue il disincanto.
Nell’ Europa della Belle Epoque si avvertono qua e là segni di crisi: la depressione economica degli anni ’80, l’endemica conflittualità sociale, la corsa agli armamenti sono sintomi di un Futuro minaccioso, che arriva fragoroso con la Grande Guerra. In particolare sono i fanti delle trincee che hanno modo di constatare che il lavoro, la tenacia, l’impegno,la rinuncia, alla fine portano non l’ ordine, la sicurezza, il benessere, ma la distruzione,il caos,la paura. Insomma ci si rende conto che vivere secondo i modi razionali /(etici) della modernità non paga. Questo fallimento porta più o meno rapidamente all’abbandono della prospettiva etica di lungo periodo e all’adozione della prospettiva ‘estetica’ di breve periodo; si smette di pensare la vita come un processo di ‘formazione’ (culturale, economico e sociale) basato sull’impegno e su costanti piccoli passi e si accetta l’idea che l’esistenza sia da vivere con impeto, nell’immediato, in una lotta anche feroce, in cui il debole soccombe al più forte. E la forza è data più che dal corpo in sé ,dall’intensità delle passioni, dei propri ‘sogni’ (come si sente dire oggi nei media).
La conseguenza è che si afferma un modo di percepire il reale piuttosto ristretto: conta quel che dà piacere qui e adesso ,non il rispetto di regole che distinguono il bene e il male in termini ‘assoluti’. Conta quel che dà risultato immediato, cioè l’efficienza della precisione tecnica , dell’omogeneità, della specializzazione. La via breve insomma più che quella lunga.[10] L’asimmetria più che la simmetria. La densità delle passioni più che la razionalità delle scelte. La parte (la mia) invece del tutto (l’Altro). Stare a guardare, affascinati, le decisioni del Potere, piuttosto che partecipare.
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Se non si pone mente a questa evoluzione antropologica, non si può capire fino in fondo come gli eventi della macro storia possano essersi verificati[11]: Mussolini e Hitler diventano Duce e Fuhrer (anche) perché le storie di tante persone (anzi personaggi) comuni a fare da cornice.
Così, se torniamo a considerare la questione del fascismo nel Primo Novecento, ci rendiamo conto che esso nasce quando non si parla più di ‘popolo’ ma di ‘massa’,quando la gente comune non è più disposta ad affrontare la vita sotto il segno del rischio di un futuro più o meno lontano, ma va alla ricerca della ‘sicurezza’ immediata; quando anche quelli che prima, in qualità di intellettuali, si proponevano di creare e sviluppare una ‘opinione pubblica’[12] capace di pensiero critico, si assegnano semplicemente il compito di ‘emozionare’, di ‘trascinare’ la gente, di “gestire l’esistente”.
Questo si vede,ad esempio, nel film Cabaret
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Il racconto si sviluppa su due livelli, che facilmente possono essere riconosciuti se si fa riferimento al modello cognitivo proposto dalla Gestalt theorie[13], quello della Figura / Sfondo.
C’è in effetti una Figura in primo piano, la vicenda di un giovane inglese. Va a Berlino agli inizi degli anni Trenta per migliorare la conoscenza del tedesco. Vive una storia sentimentale controversa con una cantante da cabaret, americana e fragile. La situazione si chiarisce progressivamente attraverso contatti ambigui e fascinosi con vari ambienti della città, sia umili che elevati. Crisi finale: il giovane torna in Inghilterra da solo.
Il senso profondo di questa vicenda si legge solo se si tiene conto dello Sfondo,su cui si regge, ovvero situazione della Germania del primo dopoguerra. Difficoltà economiche e grandi divaricazioni sociali: ricchezze in mano a pochi (“pescecani”,nobili),mentre il ceto medio (Fritz,pensionanti)si arrangia. Si divaricano i modi di interpretare quel che accade: in generale c’è sfiducia (propria di quella tendenza culturale che oggi si chiama Modernismo) verso l’idea che il consueto stile di vita fatto di modestia e costanza possa davvero risolvere qualcosa. Di fronte alla complessità emergente, si assumono atteggiamenti divergenti: alcuni adottano forme ‘ironiche’ di disincanto, secondo la polarità cinismo (opportunisti,esteti) / espressionismo (intellettuali che vogliono rivelare la complessità delle cose, disarticolare le ‘certezze’ su cui si regge il sistema sociale); i più si rifugiano in forme mistiche di re – incanto (come il nazismo) per avere nuove “certezze” ed evitare l’angoscia della complessità.
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La stazione
La rappresentazione di questa doppia dimensione avviene ovviamente , trattandosi di un film,attraverso immagini. E queste immagini sono ‘messe – in – forma’ secondo il modello semiotico chiuso / aperto [14], che consente di rappresentare al meglio la visione tipicamente borghese entro cui si muovo i protagonisti: spazi chiusi - che mettono a fuoco la dimensione centrale dell’ideologia borghese,il “privato”, quello della “autenticità”,della autorealizzazione; e spazi aperti in cui – secondo quella ideologia - si incontra il Perturbante, l’elemento che turba l’ordine.
In effetti il film si apre e si chiude entro quell’ambiente particolare che è una stazione ferroviaria, segno di soglia , a ben pensare, tra un esterno e un interno. Segno tanto ambiguo – come tutti i confini - da poter essere interpretato come parte della ‘ventura’ che arricchisce (che avvia ad un nuovo ordine) o come parte del pericolo che disarticola l’ordine tradizionale.
Nella scelta degli sceneggiatori, la stazione serve a sottolineare la condizione di un giovane studente inglese che arriva in Germania per perfezionare il suo tedesco. Siamo nello schema di quello che nel ‘700 era il Grand Tour: per la formazione dell’individuo – secondo la cultura moderna - non bastano i libri (che forniscono informazioni, ma astratte, cioè idee –per così dire – platoniche),ma occorre l’esperienza diretta (dei luoghi, delle persone, dei costumi ‘altri’) che può dare solo il corpo. Così la stazione segna l’uscita dall’ hortus conclusus dell’università, e l’ingresso nella confusione del ‘reale’: dall’asettica perfezione dell’accademia alla ‘infetta’ molteplicità della città / metropoli.
Quando, alla fine del film, la scena torna a riproporre la stessa stazione, è chiaro che l’autore vuole mettere in evidenza il fatto che si è compiuto il percorso di formazione dell’individuo, il suo bildungsroman. Solo che, come spesso viene raccontato da molti romanzi del Primo Novecento europeo[15],più che di una formazione si è trattato di una de – formazione. La ciclicità delle scelte (stazione all’inizio, stazione alla fine) dovrebbe suggerire il compimento del giro, appunto il raggiungimento di una nuova forma: ma il processo non si è chiuso completamente, perché - delle vie percorse - alcune si sono chiuse, altre sono rimaste aperte. In particolare il giovane ha effettivamente conosciuto le varie dimensioni del sociale e dell’antropologico ( piccola borghesia, grande borghesia,nobiltà) fino a poter tracciare dei precisi bordi e de – finire quindi con chiarezza i confini del bene e del male di una società; ma contrario le sue esperienze sentimentali lo hanno portato a sperimentare situazioni dai confini incerti, morbosi per certi aspetti,portandolo sicuramente a un fondo di confusione. Quando parte sa che il nazismo esprime una deriva opposta alla tradizione liberale inglese, quella delle libertà civili, del rifiuto dell’assolutismo e della ricerca continua di mediazioni tra interessi diversi e di soluzioni sempre precarie[16]. Ma ha conosciuto la strane dimensioni della sessualità illimitata,dell’omosessualità, le complesse strade dell’amicizia: e su questo rimane una sorta di vaghezza e di in distinzione ad accompagnare la sua nuova modalità di essere, la sua identità.
Insomma lo studente ha incontrato, come dice Badiou, il “possibile ignorato”, ed è diventato “Soggetto”: ha scoperto relazioni sociali ‘reali’, diverse da quelle descritte nei libri,ed è stato costretto ad uscire dagli schemi consueti (che consentivano di prevedere le cose che sarebbero accadute in termini semplici di calcolo della relazione tra costo e guadagno) e a costruirsene altri. E con lui, ovviamente, lo spettatore.
L’opera di straniamento avviene ,come già detto , entro precisi spazi sociali. Tra la prima e l’ultima stazione Brian si trova a vivere il suo tempo in una pensione (il posto dove alloggia),in un cabaret (che non a caso dà il titolo al film), nella ricca villa di un barone, in una birreria di campagna, e per strada.
LA PENSIONE
La pensione ovviamente è il surrogato dell’hotel. È dichiaratamente un luogo medio, se non mediocre, dove coesistono vite fragili e disilluse,per lo più persone senza famiglia, anziani, disillusi. È il quadro di una società che ha smesso di essere una Nazione, un popolo, e consiste di individualità, arrese al reale in.
Ci sono personaggi che fanno da sfondo e altri che emergono in primo piano.
Sullo sfondo si muovono, con poche battute da recitare,individui che nell’insieme costituiscono l’equivalente del coro della tragedia greca: la padrona,l’indovina,il vecchio sono espressione del senso comune della gente comune, della media statistica che comincia a sostituire l’opinione pubblica. Gente che non fa professione di cultura, gente che non legge ma si limita a ripetere le notizie che girano e le valuano dal loro punto di vista, quello di chi – come detto – non sa e non vuole vedere più in là dello spazio ristretto della pensione.
In primo piano balza subito – per contrasto - la figura di Sally, una giovane americana, disinibita e socievole,che in effetti controbatte al grigiore della vita in pensione lo splendore di una seconda esistenza, quella ‘pubblica’ di cantante in un cabaret.
Se gli altri pensionanti si limitano a subire passivamente l’andamento delle cose, lei appare,fin dalle prime scene, cinicamente consapevole di come ‘vanno davvero le cose nel mondo ’. All’esterno il suo essere americana propone l’immagine di una persona completamente libera dalle ‘forme’ europee, disponibile a superare continuamente consuetudini e riti in nome di una ‘autentica’ apertura verso il cambiamento, energicamente protesa verso il nuovo. Lo spettatore l’incontra ancor prima di Brian, in quanto alle scene dell’arrivo dell’inglese nella pensione, il montaggio alterna scene dello spettacolo che si tiene in un cabaret e che vede proprio lei come protagonista. Mano a mano però le vicende chiariscono che sotto questa energia,questa vitalità, si nasconde una estrema fragilità: l’assenza del padre la rende carente di certezze e bisognosa di ‘cura’.
Ma questo dato biografico, di fatto, nella storia assume per analogia una valenza antropologica precisa: Sally “sta per “ la donna americana in genere, che è come dire la donna contemporanea della cultura globale; quella che assume disinvolti atteggiamenti di libertà e di forza (in situazione) perché davvero ha perso il vincolo (ma anche la protezione) della Legge del Padre, cioè della Tradizione. Ella vive nell’unica ingiunzione del godimento: “devi godere”, che nel perenne chiacchiericcio della postmodernità new age viene declamato con altre parole, più ‘filosofiche’ (“diritto alla felicità”). Di fatto è la massima rappresentazione ,all’interno del film, dell’individuo che vuole essere ‘autentico’ (rimanendo di fatto individuo dipendente dalle pulsioni ) e rifiuta di farsi Soggetto (cioè autore di scelte non ‘realistiche’ ma ‘artificiali’)e perciò soffre: ha la possibilità di diventare compagna di Brian per il resto dell’esistenza (con annessa maternità), ma decide di abortire. Sembra una scelta di ‘libertà’ ,un rifiuto della natura di donna in nome di un diritto alla propria autodeterminazione,ma di fatto si arrende cinicamente al “realismo” , al piacere rapido dello sguazzare dentro la visione corta del realismo (“così fan tutti”, tutti pensano star bene adesso..).
È in continuo movimento,in continua apertura, in continuo adeguamento alle cose che cambiano intorno a lei:ma proprio per questo in continua insoddisfazione. Ogni relazione per lei non può essere che una performance,una risposta immediata alle stimolazioni immediate.
Certamente è però grazie a lei che l’inglese finalmente scopre dentro di sé quelle profondità,quell’Altro interiore,quell’Altrove che erano rimasti costretti al silenzio dalle forme della Tradizione e che le cure – troppo ‘formali’ evidentemente - delle ragazze del suo paese gli avevano tenuto nascosto. La conoscenza del dionisiaco lo porta verso una ‘verità’ finora nemmeno immaginata. In questo senso Sally è il mentore di Brian: la scoperta del corpo, del pathos,in tutte le sue ambiguità.
IL CABARET
Grazie a Sally ’ lo studente viene a contatto con un luogo dove trionfa l’eccesso dionisiaco in tutte le sue fenomenologie,un luogo ‘aperto’ pur se chiuso, un luogo dove si incontra gente di varia origine, come accade dal Sei – Settecento nel caffè e soprattutto nel teatro borghese moderna: il cabaret.
Un luogo dove si incontra gente sconosciuta, dove si costruiscono discorsi intellettuali : ma la gente partecipa soprattutto da spettatore, e sollecitata dalle esibizioni degli artisti è condotta a ‘consumare’ occasioni di eccesso, straniamento da disincanto ma anche simulazioni di reincanto (provvisorio o no). Non si discute o argomenta, ci si entusiasma. Se nel teatro la presenza dello spettatore è silenziosa attenzione, rielaborazione del messaggio che proviene dalla scena, qui c’è l’impeto delle emozioni che viene stimolato e che cresce in una retroazione continua di tipo solo istantaneo. Non idee ma passioni.
La scena in se stessa è ancora un luogo chiuso (proprio dell’elite intellettuale) in cui l’arte si assume il compito della destrutturazione delle certezze, dei luoghi comuni, attraverso la pratica non delle forme dell’armonia e della catarsi ma attraverso l’ironia e il sarcasmo. Insomma,ricerca di toni esagerati, svelamento del ‘trucco’ di cui si compone l’umano.
Quindi,anche arte come performance, come rifiuto del feticcio. Come ha già mostrato Duchamp, non è il prodotto dell’operazione artistica in sé che costituisce l’essenza dell’arte, ma la procedura, la capacità di stabilire relazioni, di creare ‘forme’. L’Arte della Transitorietà e non della Permanenza: l’umano consiste proprio nell’andare a connettere, nel dare al fluire delle cose una ‘forma’ non naturale, nel fuggire dal realismo che invita alla sottomissione.
Allora l ‘Arte è vista come rifiuto della purezza e come riproduzione consapevole della mescolanza; come straniamento (sorpresa) negli spettatori / fruitori e non come conferma delle routine. Quasi un recupero della ‘meraviglia’ barocca. Se il mondo è un non – finito (fluidità, liquidità,complessità…), l’arte del finito, che propone una sorta di nicchia dei separatezza è chiaramente condannata alla menzogna, alla finzione fatta passare per verità: la ‘bellezza’ che pure è stata fondamentale per esaltare la qualità d’azione dell’uomo sulle cose, rischia – in questo primo novecento – di essere un razionale rifiuto del disordine che è nelle cose stesse (e come la guerra ha più che dimostrato, al di là di tutte le belle parole ) e quindi un invito al Kitsch.
Insomma l’arte del Novecento, dopo la scoperta che esistono disastri là dove si sperava che ci fossero trionfi, si dà o come ‘denuncia’ di questa ‘verità’ o come ‘accettazione’; come ‘cambiamento’ dell’ordine costituito o come sua conferma, come puro consumo di ‘bellezza’.
Arte come ‘merce’, in ogni caso ovviamente. Non può esistere se non all’interno della società, di una società che l’accoglie ormai solo come come ‘spettacolo’, come ‘comunicazione’ di ‘massa’ .
E l’artista ha la possibilità di starvi dentro in funzione di virus o di pura e semplice ‘risorsa umana’
LE CASE
Il privato viene rappresentato in ambienti chiusi, quelli degli appartamenti,di qualità più o meno alta: ma la grande assente è la famiglia.
La casa principale della storia è una pensione, che ha certamente una coppia di anziani conduttori, ma di fatto nell’esiguità dello spazio, indicano che una famiglia ‘normale’ per vivere ha dovuto far la scelta di condividere il proprio spazio privato con degli estranei, rompendo il mitico spazio della intimità borghese, quello dove finalmente dare adito alla propria autenticità. La pensione è un luogo ,di fatto, semiaperto, nel senso che si xconvive con gente che paga la pigione: gente che ti costringe ad una relazione tutt’altro che ‘autentica’, basata com’è sull’impersonalità, sull’astratta efficienza simbolica della moneta. E la convivenza di questo tipo porta a rafforzare le forme, quelle della bon seance, della buona educazione, in cui i gesti e le parole sono sempre calcolate per non creare problemi, per non determinare l’obbligo di uscire dal proprio guscio.
Le case private che vengono messe in scena sono in effetti quelle di ricchi benestanti: quella della Berenson, figlia di ebrei commercianti, quella del barone, che di fatto è una villa con tanto di giardino e rinvio all’epoca settecentesca della nobiltà elegante e mondana.
Anche in questi luoghi di fatto manca la famiglia. Al massimo se ne indovina l’esistenza sullo sfondo, come garanzia di una ricchezza che si possiede senza meriti, per eredità. Ambienti senza affetti qyuindi, dove fa da regola il calcolo, il teatro, il Gran Teatro di genesi secentesca.
Insomma si tratta di luoghi privi di una struttura stabile che dia impressione di forza, di identità. Sono luoghi di stazionarietà provvisoria, di socialità ‘aperta’, di individui ‘soli.
Ecco questa è la Germania del primo dopoguerra: una massa di individui isolati, senza valori forti, senza riferimenti se non la propria personale sopravvivenza o autoaffermazione.
La Germania è ormai un luogo della ‘povertà’, della ‘necessità’, delle ‘devianze’. Dove ha prevalenza l’ ‘individualismo’ moderno (boheme di ‘massa’) invidioso osservatore della Villa in cui vive l’Alta borghesia - ebrea / Nobiltà - tradizione). Sono segno dell’Alto Mondo, del Lusso, dell’Abbondanza, delle ‘Buone maniere’, dello ‘Stile’
CAMPAGNA
Non si tratta della campagna vera,del luogo dove si lavora e si suda,ma della campagna idealizzata, della campagna ‘messa-in – forma’ dalla cultura occidentale per rappresentare di fatto una meta di perfezione che non esiste ma che si desidera incontrare prima o poi. La campagna di certa letteratura (Teocrito, Virgilio) che di fatto viene ‘realizzata’ a partire dal Rinascimento italiano nelle forme artificiali e razionali delle Ville, con viali dritti, grotte, fontane,quiete. Un uogo aperto in cui si combinano due componenti archetipiche
- il locus amoenus, l’idillio, l’Arcadia:luogo di pace insomma
- il simposio, cioè la condivisione ‘orgiastica’,il superamento dei conflitti tramite l’abbandono dell’apollineo’ a favore del ‘dionisiaco’
E la gita dei due giovani maschi (brian e il barone) sembra davvero portare ad una rivisitazione di questa situazione (la stessa di ogni nostra scampagnata, di ogni escursione alla ricerca del posto dove ci siano i ‘migliori’ arrosticini ..). in auto, fuori della metropoli, fino ad una birreria di campagna: tavoli all’aperto, gruppi diversi di avventori di vario tipo, e a suggellare l’atmosfera di rilassatezza, di tregua, rispetto alla frenesia della città, una musica soave, dolce.
Poi improvviso lo stravolgimento,con l’ innesto di Violenza e di Conflitto (nello schema ,stavolta, del barocco monito del “et in Arcadia ego”). Il canto del giovane, di cui inizialmente il primo piano fa notare i lineamenti gentili ,quasi femminei,presto trasforma la canzonetta idillica in marcia militare (mentre il contro zoom fa scorgere la sua divisa di appartenente ad una associazione paramilitare, fino al focus sul braccio con la svastica a dissipare dubbi). A seguire, lo sconcerto dello spettatore diventa forte, quando, salvo un vecchio con il berretto da sindacalista, tutti gli altri avventori la gente da individuo si fa Massa. Si alzano e si accordano al tono marziale delle note divenendo immediatamente un minaccioso incubo che turba la quiete della campagna rifugio.
STRADE
Incontri con l’Altro
Opportunità ‘positive’: arricchimento, cambiamento, esperienze di superamento della frontiera dell’Io (possibilità di superamento della routine)
Opportunità ‘negative’ : ostacolo,conoscenza dei limiti esterni, opportunità di conoscenza
TEMPO
Performance:vivere Qui e Ora (senza prospettiva di futuro). È il Soggetto che si costituisce soprattutto nelle emozioni ( tutto /subito)
Progetto: vivere pensando di poter cambiare da qui a lì, da oggi a domani (futuro). È il Soggetto che si costituisce attraverso la rinuncia /investimento (no lo faccio ora per avere domani)
Stile / Ars: il Soggetto, consapevole delle due dimensioni di cui sopra, si costruisce un tempo non naturale, in cui ‘resiste’ alle due prospettive (di cui vede i limiti), o ne assume una con la piena consapevolezza della sua insufficienza , solo come ‘gioco’. Ma questa assunzione di ‘stile’ deve fare i conti con l’Altro: cinismo o Kimismus
[1] All’origine della modernità c’è appunto la filologia (si pensi a Lorenzo Valla del De falsa donatione Constantini) che nasce dalla constatazione che per interpretare un testo, il lettore deve andare oltre quel che immediatamente gli ‘appare’: deve percepire primariamente la distanza tra quel che ha in mente lui (la propria lingua, le proprie conoscenze,la propria prospettiva) e quel che sta dentro ‘quel’ particolare testo (un’altra lingua, altri modelli culturali, altre prospettive). Solo dopo aver identificato le differenze tra i due ‘codici’,può cominciare a transcodificare, a ‘tradurre’. La prima operazione da fare è in ogni caso la definizione , come dire l’etimologia dei termini chiave: se finis è confine,infatti, definire significa appunto creare un bordo per delimitare il terreno di senso entro cui potersi muovere nella ricerca successiva. Insomma è come mettersi d’accordo sulle regole del gioco che va a cominciare. Quando si usa quella certa parola ( X ) , ebbene si deve intendere che è questo ( e non quest’altro) il suo significato. Non perché sia ‘vero’: è semplicemente un ‘modello’ , un segno che ci impone i limiti entro cui muoversi nella ricerca /dibattito successiva.
[2] la semiotica,la linguistica testuale, il cognitivismo, le neuroscienze,la cibernetica, la teoria dei sistemi concordano nel riconoscere alla mente la funzione di dare ‘forma’ a quello che non ce l’ha. Le forme particolari con cui la mente assembla gli stimoli che dall’esterno gli arrivano attraverso i filtri sensoriali sono lo script e il frame: il primo utilizza come criterio la successione lineare prima – poi, il secondo è una vera e propria mappa. La mappa è una immagine spaziale delimitata da bordi che limitano il fluire indeterminato di collegamenti ;mentre lo script è una sorta di fumetto in cui le immagini vengono collegate in modo da avere un inizio e una fine. Una ‘storia’ appunto.
[3] E’ il topos romantico secondo cui la vita dell’individuo ha diritto ad affermare la sua ‘differenza’ contro le regole che la società impone con le sue ambizioni di totalità. Lo Stato moderno ,per realizzare un ordine sociale laico, qui in terra, attraverso le leggi, impone ai singoli norme che soprattutto limitano le loro possibilità di realizzare i propri desideri,i propri sogni. Questo contrasto Regola / Libertà viene espresso nell’ambito culturale fin dal Seicento con il Libertinismo e il barocco,si impone in politica nel Settecento con la rivendicazione liberale dei diritti civili,e da Rousseau in poi dà luogo al mito della Natura quale deposito di autenticità,quale Luogo ove l’individuo può finalmente liberarsi delle repressioni dettate dalle forme sociali e liberare la propria Differenza.
[4] L’evidenza culturale è qui data dal Futurismo che vuole annichilire quanto rallenta la percezione e l’immersione nelle cose. è solo la forma ‘artistica’ di quella che è l’ideologia principale del capitalismo: il tempo è denaro, il denaro vale se circola, e vale di più se circola molto. Insomma velocità, la velocizzazione, come qualità : a detrimento appunto delle pastoie, delle procedure, della riflessione, del dubbio, delle esitazioni, della dialettica. Insomma l’azione per l’azione
[5] All’inizio del Novecento non si usavano queste parole,ma si faceva riferimento al mito dannunziano della ‘vita inimitabile’, fatta di avventura, sport, amori senza freni, lusso senza responsabilità,di illimitatezza estetica. Piacere per il piacere, appunto.
[6] Se il mondo è incomprensibile con le normali vie conoscitive dell’uomo medio, l’uomo medio per uscire dalla angoscia, va cercando un approdo che offra sicurezza e certezza: le singole scelte variano – anche per i contenuti ,a volte opposti, che offrono – ma di fatto ripropongono uno stesso schema di fondo, quello del riduzionismo. Per cui poco conta se la fonte trovata è ‘sacra’ (in tutte le varietà con cui si manifesta storicamente, a partire dalle religioni, specie nelle forme fondamentaliste..)o ‘laica’ (in generale le forme di tecnicismo che consente di agire per protocolli)
[7] È definizione freudiana che in Lacan si propone anche con la metafora di Castrazione Simbolica: il significato delle cose è imposto dalla società, coi suoi codici, a partire appunto dal linguaggio. Questa dimensione può essere vissuta come una perdita, o,in particolari situazioni di disorientamento, come un guadagno.
[8] In queste comunità ‘estetiche’ – basate cioè sulle passioni – non contano più le differenze reali di tipo sociale, economico, culturale: ci si ‘sente’ fratelli, accomunati da un comune ‘sentire’. Il valore base delle comunità di questo tipo è infatti la ‘fratellanza’, l’instaurazione di relazioni di tipo esclusivamente affettivo, che fanno trascurare completamente le altre concrete differenze. Siamo già nell’ambito di una violenza sistemica, di una rappresentazione dello star – insieme che elimina le contraddizioni a favore del mito dell’Armonia. Fratellanza, Autenticità, e Tradizione: queste le parole chiave per vivere bene, per superare le sconfitte della vita materiale.
[9] Razionalizzare significa di per sé sostituire forme ‘regolari’ (semplici)a quelle della natura (complesse e confuse). Lo scopo a cui si mira è di realizzare un controllo dell’uomo sulla natura. Le procedure fondamentali per produrre questa razionalità è quella di ‘tracciare confini’:dalle enclosures alle pareti degli ospedali, dalle carceri alle fabbriche, dalle scuole ai lager e gulag, non si fa altro che costruire sistemi regolati dal sistema semiotico dentro / fuori, che corrisponde in effetti a procedure di inclusione ed esclusione. L’olocausto non è un errore dunque ma un perfezionamento del principio stesso che sta all’origine della Modernità.
[10] L’imbroglio, il furto, il doping, le droghe, lo stupro sono alcune delle forme concrete con cui si manifesta questa antropologia della semplificazione. Perché faticare se qualcosa si può ottenere subito, con poco sforzo, ma soprattutto senza aspettare troppo tempo?naturalmente in tutto questo velocizzare e semplificare viene meno il problema dell’Altro: anzi viene risolto nel modo più primitivo possibile, secondo una valutazione binaria del tutto rassicurante: o mi è utile (e lo catalogo come ‘amico’) e mi è ostacolo (e lo catalogo come nemico). E questo a partire dalle quotidiane diatribe del vivere minimo, fino alle grandi questioni sollecitate dalle politiche dei vari potentati internazionali (economia, finanzam, e anchi Stati ufficiali..).
[11] Si pensi all’introduzione ai Promessi sposi. Manzoni invita il lettore proprio a cercare di capire la storia lasciando da parte le vicende dei Grandi (cartapesta che nasconde la dimensione delle vite dei singoli) per abbassare lo sguardo alla quotidianità. E tutto il realismo europeo non fa altro che affermare che “La storia siamo noi” (come sintetizzerà successivamente una canzone di De Gregori).
[12] L’opinione pubblica era uno dei progetti della cultura dell’Illuminismo: in presenza dello stato assoluto, in cui le decisioni erano segrete ed esclusiva prerogativa del Potere, si cerca di razionalizzare le modalità delle decisioni che riguardano la res publica. Si pensa che, abbandonata l’illusione che le risposte vengono dal sacro, ci sono gli esperti che sanno dare soluzioni efficaci ai problemi di ogni tipo che la politica deve affrontare per assicurare ordine e benessere alla collettività. Occorre quindi che il Potere venga accompagnato da visioni critiche che vengano appunto da esperti e soprattutto da quella parte della popolazione che s’interessa in modo colto delle questioni ed è in grado sulla base delle proprie conoscenze di proporre punti di vista alternativi a quelli del potere. E l’opinione pubblica si forma naturalmente solo se ci sono intellettuali che forniscono libri, informazioni, stimoli, aggiornamenti in costante ricerca .
[13] Il principio della figura/sfondo, ovvero del rapporto tra figura e sfondo, è noto anche come principio del contrasto ed è il fondamento della percezione visiva: uno stimolo è percepito solo per contrasto con il suo sfondo. Più in generale,la percezione è spiegata come un processo organizzativo attivo; si percepisce sempre una totalità e non i singoli stimoli (il tutto viene prima della parti);vengono tendenzialmente percepite forme complete ed unitarie (nella percezione si completa ciò che manca); si tende a dare agli stimoli percepiti la forma migliore possibile e più semplice(legge della pregnanza). Questi ultimi principi sono di estremo interesse in quanto esprimono il bisogno fondamentale dell’essere umano alla coerenza, alla organizzazione, alla semplificazione. Un contributo
[14] Secondo la Gestalt theorie,la forma è percepita solo se chiusa, cioè se delimitata da precisi confini. Il che avviene poco nelle situazioni reali(in cui le cose sono ‘fluide’) e molto nei ‘test’, nelle costruzioni di senso che gli uomini creano. E ancor più nei testi artistici. Insomma l’Inizio e la fine di una storia sono portatori (segni) dell’intenzione dell’autore ( ‘messaggio’) perché le forme chiuse, più nitide e definite, vengono generalmente percepite come figure, mentre quelle aperte come sfondo. Infatti le prime sembrano possedere maggiore densità rispetto alle seconde. In generale, i segni di ogni codice quindi sono tali – si propongono come una ‘forma’ significante’ – solo se marcano in modo forte i limiti (bordi) entro / con cui si costituiscono:per i suoni occorre una pausa, per le immagini occorre una ‘cornice’, per i testi – specie se ‘artistici’ - occorrono precise marche di inizio e di fine (si pensi agli inizi delle favole – c’era una volta-, dei poemi epici – proemi-, degli stessi romanzi ottocenteschi – introduzioni-). E queste marche ,per dare maggiormente l’idea di ‘chiusura’ sono in genere collegate a specchio: il dato presente all’inizio e riproposto alla fine invita a ‘chiudere’ la comunicazione, così che che quello che all’inizio sembra un dato casuale e senza senso, si propone come ‘significante’. Insomma dà ‘forma’ all’informe.
[15] La narrativa del Novecento si caratterizza per la presenza (di fronte al fenomeno della società di massa) di due direzioni : una di ‘ricerca’ che mira a rappresentare la crisi (anzi le crisi) presenti; una di ‘massa’ appunto che mira a creare agevolezza. L’una punta alla riflessività, l’altra alle passioni. Una di elite, l’altra dai grandi numeri. L’una per cambiare le cose, l’altra per viverci dentro alla bell’e meglio. Del resto non è la stessa situazione di oggi per quanto riguarda tutta l’industria culturale dei mass- media?
[16] Tutti questi valori li conosce perché ha studiato a Cambridge, perché ha acquisito – dai libri – delle ‘mappe’ mentali forti con cui gli è facile distinguere tra Bene e male nell’ambito delle questioni sociali e politiche. La tradizione che vive nei libri è il filtro che consente di muoversi in modo abbastanza rettilineo entro le fluidità sociali.
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