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io,l'altro

  • Immagine del redattore: brunovetich
    brunovetich
  • 10 gen 2016
  • Tempo di lettura: 18 min

un film 'civile': come fa la paura a trasformare l'amicizia in odio.

La storia

Situazione iniziale

Nel peschereccio Medea i giorni di Giuseppe, siciliano burbero e scontroso, e Yousef, esiliato tunisino solare e giocoso, scorrono uguali tra una battuta di pesca e una partita a carte, scanditi soltanto dalla presenza della radio, unico mezzo di comunicazione col mondo esterno. [1]

Elementi di contorno, apparentemente irrilevanti,il santino di Padre Pio,la cassetta di Gigi D'Alessio: indizi, in effetti, di una precisa dimensione antropologica. il segno della croce prima di cominciare la giornata, il santino della madonna,altre immagini degli aforismi da quattro soldi (yè yè ..): tutti insieme rinviano ad una precisa strategia di senso. In particolare l'italiano Giuseppe è un tipico esemplare della "gente" della gente comune che nei media viene identificata con l ' "opinione pubblica",e che nelle rappresentazioni dell'Ottocento veniva percepita in effetti come sede dell'automatismo, della non riflessione,quella che si affidava alle credenze arcaiche e che adesso agisce come propongono i media: pienamente immersa nel mainstream, quella convinzione comune che ti fa credere che gli affari ti vanno bene se sei devoto a Padre Pio (come mostra la presenza fissa di santini del padre in quasi tutti i negozi artigianali) e che cerca nella musica (di ogni tipo)l'occasione per confermare la massima distrazione possibile dal disagio di ogni giorno. insomma l mito di un sentimentalismo per cui bastano emozioni e passioni per sapere di vivere al massimo.

Yousef,il tunisino, è in questo senso un elemento di disturbo, pur nella quiete della prima parte: a Gigi d'Alessio (il puro kitsch,il bello finto vissuto come bello vero)contrappone Kaled (il disagio vero); alle banalità di romanticume occidentale contrappone le riflessioni (antropologiche, filosofiche?) proprie dell'antica saggezza dei popoli mediterranei che ancora sanno pesare la differenza tra le cose e le passioni: "chi va al mare è dato per disperso, e chi ritorna è come rinato" (la complessità,il rischio come norma non come colpa personale). Yousef fa delle scelte per l' "altro" che è la famiglia (ha una moglie,dei figli, che vede una volta l'anno), e per sopravvivere deve continuamente arrangiarsi in mezzo a gente che ha abitudini e intenzioni diverse.

Lo sfondo che accomuna i due è il mare, che vale come metafora della vita ovviamente. La vita (il mare) è sempre un rischio,in cui l'unico senso è sopravvivere:entrambi puntano a uscirne prima o poi.un alberghetto, pensa Yousef, magari achne con Giuseppe che gli consente in effetti di vivere e pensare al futuro. Giuseppe però è un piccolo imprenditore; già dipendente da un grossista (il mafioso locale,Troina)vuole farsi strada da solo, vuole arrivare ad essere qualcuno,secondo lo schema moderno dell'uomo imprenditore, dell'individualismo competitivo della glòobalizzazione. Si ritrova allora a fare i conti con le logiche del mercato: prezzi che si abbassano in modo innaturale, strozzinaggio, fatica e ventura quotidiana.

Bellezza del mare,ogni giorno riscoperto nella sua capacità di darti la vita e la quiete del non finito, del possibile, dell'isolamento. ma anche l'alea del caso, della ventura ..

Conforto la societas, la condivisione di fatiche e ricompense. la barca come piccola ripetizione dell'isola di Utopia, in cui lontano dal mondo di terra,aspro e feroce nelle sue logiche,vince l'intenzione dei presenti: gioco,scherzo, parole,musica, amicizia. anche se non si pesca si sta comunque bene

Rottura dell’equilibrio

Nell'angusto e claustrofobico spazio della barca arrugginita (scena ‘teatrale’ come nel teatro greco tragico), un puntino isolato in mezzo al blu dello sconfinato mare siciliano, sarà la radio (un elemento esterno, lequivalente dell'araldo che nella tragedia greca arriva a portare 'nuove' e quindi cambiamenti) a incrinare il rapporto fraterno tra i due uomini uniti dalla fatica e dalla miseria. L'annuncio radiofonico di una caccia all'uomo sulle tracce di un terrorista di nome Yousef (responsabile dell'attentato di Madrid) sarà la scintilla che insinuerà il dubbio e il sospetto verso "l'altro" nella mente di Giuseppe.

la radio da sola turba ma non risulta determinante a modificare la situazione: la paura nasce in Giuseppe soprattutto quando ,sempre via radio, parla con l'amico pescatore Nello, che banalizza, semplifica quel che si sa e mette inmmediatamente insieme Yoiusef che sta sulla barca di G. con l'omonimo che è ricercato come terrorista. una naturale reazione della mente 'veloce' di quella che agisce sotto la spinta dell'inconscio cognitivo, che ci porta alla ricerca della sicurezza in modo probabilistico e non preciso. nel dubbio l'animale fugge davanti alla possibilità del pericolo.

la filologia ha abituato nella modernità l'uomo a raccogliere i dati prima di arrivare alla conclusione.

La lettura che si può fare di questa ‘rottura” è doppia:

  • da un lato anche l’isolamento, il locus amoenus è oggi in effetti mai isolato . Il narcisismo contemporaneo, l’individualismo illimitato che ci porta a vivere nel qui e ora ,eliminando dalla nostra percezione diretta il divenire, è condannato a fare i conti,prima o poi, con il fluire,con la sorpresa delle cose che avvengono anche lontano: e atrattarla però con gli strumenti consueti, ovvero con la semplice esclusione, con la riduzione della complessità allo schema che finora ha funzionato. La nostra società non è certo facile da leggere come la comunità premoderna: è ormai una rete senza limiti di presenze,permeabile continuamente anche da componenti lontane,invisibili. non si vuole il disordine, l'entropia, ma arriva, sempre. Et in Arcadia ego: la morte secondo l’immaginario secentesco, il conflitto e quindi la distruttività (ovvero ancora la morte) secondo l’immaginario contemporane. E questa minaccia è proprio là dove in genere si vede il vantaggio, cioè nel Progresso. La crescita di comunicazione, il progresso scientifico e tecnico danno jouissance (musica, colloquio con chi è lontano)ma anche disordine (la 'novella', la news che in quanto tali entrano come virus nel sistema scatenando reazioni imprevedibili). Piacere ma anche disturbo.

  • dall’altro il ruolo determinante dei media, che nella loro apparente neutralità oggettiva determinano effetti incontrollabili a livello delle vite reali. La radio, le ipotesi, la conoscenza che cresce e che si accumula nella mente,finisce per far implodere il sistema di valori e di relazioni. La modificazione delle informazioni modifica la rappresentazione delle cose, quindi la percezione del mondo,quindi i modelli di comportamento e i gesti. Ri -emerge l’agire ‘spontaneo’, il nostro violento modo di difendere la sopravvivenza del protosè,quando domina la paura: dovrebbe intervenire la analitica argomentazione che costruisce cause, giudizi, etiche. Ma costa, soprattutto richiede tempo. e noi (la 'gente') viviamo nel qui e ora, nel qui e ora artificioso dei media, vissuto come 'naturale' ("l'ha detto la radio ..")

Proprio il fatto che sono persone comuni rende pausibile la facile trasformazione della relazione tra i due da amicizia a sospsetto. proprio quella vita banale di persone che si nutrono di falsi miti rende possibile la serie di eventi successivi: sono persone che 'ci credono', che vivono nella materialità delle loro scelta inconsapevoli dell'effetto micidiale dei media nel determinare non solo e non tanto conoscenza sul mondo, quanto sicuramente emozioni. la loro vita normale scorre su un piano del tutto estetico, senza troppo ricorso ad analisi o argomentazione: percjò è credibile quanto viene narrato.

in loro agisce un inconscio cognitivo (cioè una somma infinita di piccole e grandi mappe sul mondo che agisce per default di fronte alle emergenze del reale) chbe rende immediata ,rapidissima, la risposta quando si profilano situazioni che creano disturbo. emozioni appunto.

Come suggerisce Damasio il punto critico è quindi far in modo che la ‘spontaneità’ delle azioni che ci determina, l’automatismo delle azioni (che cataloghiamo come ‘carattere’ o simili cose) sia arricchita da procedimenti lenti analitici, in mdo che appunto l’azione irriflessa nasca da una base già addestrata alla creatività più che alla distruttività: insomma le storie del sé autobiografico devono essere trasformate in elementi portanti del sé nucleare se non addirittura del protosè.

E questo richiede esercizio,formazione (dall’esterno prima certamente e dall’interno poi).

Giuseppe ha introiettato 'conoscenze' (giudizi, valori, reattività) di forte spessore: il nemico è quello che viene da fuori. In effetti i suoi problemi economici, sociali, derivano dall'andamento del mercato, anzi dal grossista che gli rende difficile la conquista della propria indipendenza di imprenditore, la sua vittoria sociale: e invece sposta completamente la focalizzazione sul più prossimo, su quello che vibve nello spazio tempo materiale, che di fatti condivide con lui fatiche e problemi. L'abitudine a leggere le cose solo con il pensiero 'veloce' delle emozioni (che si riducono infine a 'star bene' o 'star male', ovvero se si parla di senitmenti, a 'sicurezza' e 'paura'), lo rendono 'veloce' nelle associazioni, nel trovare l'oggetto del desiderio (o dell'odio) in quello che l'inconscio cognitivo gli propone senza riflettere.

Yousef è il suo socius, l'alleato con cui ha di fatto stretto un patto (pax) per conquistare sicurezza:ma lo vede come hostis, perchè percepisce e categorizza quel che accade esclusivamente nei termini della discrezione materiale originaria della comunità premoderna, secondo cui Noi siamo quelli al di qua della frontiera, Loro sono quelli al di là. Sempre,perchè si pensa che siamo quello che siamo nati (ghignomAI, ghenos,gigno, genitor .. ), quello che la 'natura' ci fa. il 'falso' è al contrario tutto quello che è technè,non 'ars', 'ludus' (da percepire come pericolose devianze dalla 'natura'.

peripezie

Dunque,durante la permanenza in mare Giuseppe ascolta alla radio la notizia di un attacco terroristico accaduto in Spagna, dove sono morte centinaia di persone: l'unico terrorista ancora rimasto da trovare porta proprio il nome del suo compagno di mare. Tragico caso di omonimia, o davvero si tratta della stessa persona?

il sospetto che a poco a poco si insinua nella mente di Giuseppe si trasforma progressivamente in un loop che si muove con il moto regolare del mare . ogni tanto arriva qualche frammento di realtà (un ritaglio di guiornale, un ricordo) a innescare la procedura del com - plot, della paranoisa. tutto quel che ,preso in sè, è un banale dettaglio della vita quotidiana di chiunque, una volta che comincia a essere collocato in uno sfondo di paura e terrore, sicollega fino ad assumere la forma della minaccia, del male.

in particolare nella mente di Giuseppe arriva implacabile la preoccupazione per 'quel che direbbero' i paesani: che figura ci farebbe, se davvero lui facesse finta di niente e aspettasse di tornare in porto per un eventuale schiarita o denuncia? il presuntoi Soggetto è in effetti vittima dell'Altro, del Grande Altro lacaniano, dello sguardo dell'Altro che si vuole avere dalla propria parte. il vero desiderio profondo è cercare di indovinare quel che vuole l'Altro della propria società. e in nome di questa spinta che evolve nella sua mente il complotto, la paura, il terrore che lo spinge ad agire giusto secondo il copione di un modello mediatico, quello del film d'azione, per cui il nemico pericoloso va immediatamente affrontato e isolato, se non eliminato.

rinchiudere Yousef nella ghiacciaia in fondo corrisponde , come è faciule capire, al gesto razionalizzatore del nazismo o dello stalinismo che ringiude il 'diverso' in luoghi chiusi, in modo da eviatre il contatto, anzi il contagio. e se non si arriva immediatamente alla eleiminazione fisica, la logica di fondo è la stessa. la polizia è vista come l'agente impersonale che fa 'giustizia': ma la sentenza è già stata scritta.

come detto, secondo damasio, prima si agisce sulla base dell'inconscio cognitivo (qui ovviamente della modernità geometrica, della discrezione, della separazione) e poi si giustuifica con qualche argomentazione

In un incalzante vortice di incertezze e incomprensioni, la situazione non può che precipitare ribaltando più volte il rapporto tra i due amici, entrambi vittime e carnefici in un conflitto psicologico fatto di diffidenza e aggressività. gioco di sospetti e ambiguità: due personaggi umani, sfaccettati , entrambi alternativamente "accusato" e "accusatore" in un processo alle intenzioni.

Il gioco è ricreato dal regista attraverso brevi flashback - il tornare sul primo piano di Yousef cercando di ricostruire attraverso lo sguardo, ora improvvisamente ambiguo, la sua presunta colpevolezza .

una situazione che nella sua minimalità ricorda come già accennato la struttura propria della tragedia greca, che attraverso un 'duello' rende evidenti i limiti dell'uomo.

e come nella scena greca, il contesto è spoglio, minimale, a tratti addirittura metafisico: appunto il peschereccio, un microcosmo "fuori dal mondo" ma a esso legato. se nella tragedia è l'araldo o l'indovino a buttare nel presente la novità che sconvolge,qui come già detto sono le onde radio. la coesistenza posssibile se si è tra uomini differenti nello stile di vita, ma uguali nella condividione della esistenza in sè,si rivela impossibile alla luce dei rumori esterni. Come in "Partita a due" di Jonesco: solo che i 'rumori' di fuori qui non sono diretti echi di spari e bombe, ma le neutre parole della radio..

i due attori agiscono come su un palco teatrale, dando vita e forza a dialoghi non scontati per evidenziare le procedure attraverso cui si formano emozioni 'tristi'. la riduzione dello scontro a quello ristretto del percherecchio consente di evidenziare in modo 'tragico' appunto la dimensione profonda dell'individuo vittima del suo contesto. Lo spazio ostile e isolato nella sua impersonalità, rende i due uomini ugualmente vittime di qualcosa di più grande di loro: la paura. Vittime inconsapevoli di un sospetto verso "l'altro" latente e radicato, vittime come forse siamo un po' tutti

Situazione finale

conclusione tragica: sangue e morte,l''agire dettato dalle emozioni e quindi il tentativo di razionalizzare la violenza.

la scena finale della risistemazione dell'ordine perduto:disperata constatazione dell'irreversibilità dell'agire sentimentale. la scoperta della responsabilità delle proprie azioni.

piangere e non poter far niente. ecco la scena tipica dei media: ignorare la complessità, ignorare la lentezza, semplificare, guidare alla schematiozzazione estetica e poi ancora ricominciare solo a piangere, a lasciar sfogo alle emozioni.

lo spettatore è portato a riflettere proprio sulla inappropriatezza dell'azione basata solo su emozioni e passioni. l'invito al pensieroi analitico è implicito.

Certo, sulla base di questo exemplum, è facile identificare quel che avviene a vari livelli nelle nostre società: per difendere la quiete semplicemente reagiamo a livello puramente istintivo. il punto critico è che nel mondo dei media. nella ciosiddetta società dell'informazione, la vera congiura è a monte, nella regia del sistema culturale, nel sistema dell'agenda setting, della invasione delle menti, della costruzione dell'inconscio cognitivo.

Un gesto che nella nostra cultura laica di tradizione illuministica è catalogato, ovviamente, come omicidio, vale come 'sacrificio'. la parola (il concetto) ci è offerto dalla riflessione antropolgica, che partendo da pratiche proprie dell'antichità mitica, è in grade di riconoscere lo stesso impiano culturale e politico nelle strategie del potere contemporaneo ,impersonale sovranazionale e asimmetrico.

l'ordine esiste solo se la violenza viene controllata: ma per farlo occorre una sua omeostatica entropia, occorre che cioè venga in qualche modo esercitata da qualche parte, altrimenti porta all'implosione interna del sistema. la repressione interna è sopportabile fino ad un certo punto: e allora la cerimonia antico dell'uccidere uno che sia 'smilie' a noi senza per altro essere noi, corrisponde appunto all'ammazzare - dopo una certa assimilazione - lo straniero (in genere un ostaggio, un prigioniero). ecco cosa avviene costantemente, in modo più o meno consapevole: il disordine interno (lotta di classe, lotta di mercato, lotta per il riconoscimento sociale ..) viene obliterato con il 'sacrificio' dell'altro.

anche i terroristi di qualunque genia non fanno altro che riproporre questo schema.

Il 'sacrificio' come pratica necessaria per mantenere l'ordine del nostro essere: 'rendere sacro' segnifica rinviare l'altro nel mondo del sacer. ovvero nel mondo dell'indistinzione, del pre umano, nel catalogarlo come parte del caos da cui l'uomo si difende solo determinando con gesti precisi frontiere di regole che si oppongano alla vis (si ricordi la moltplice profondità del racconto dell'uccisione di Remop da parte di romolo)

Citazioni: Yousef:

- "E se fossi io quello che stanno cercando, tu che faresti?"

- "sono tifoso sempre della stessa squadra, quella che vince" Giuseppe:

- "a voi arabi non vi si conosce mai fino in fondo"

- "Quando un morto incontra una barca è perché la sua anima vuole essere riportata a casa..."

***

Temi

In sostanza si tratta di una parabola di stile neorealista su un fenomeno importante, quello della cultura del sospetto che si è creata un po’ in tutto l’Occidente a proposito dei musulmani che ospitiamo nei nostri paesi. Dopo l’11 settembre, questa fetta di persone si è trovata spesso a fare da capro espiatorio di tante tensioni sociali, politiche e psicologiche, in conseguenza di azioni terroristiche di straordinaria ferocia e lucidità.

Si spiega bene ciò che, con parole dotte, va ripetendo il grande sociologo Zygmunt Barman: l'incertezza e la precarietà della vita contemporanea trovano un capo espiatorio 'nell'altro', facendone il colpevole di tutti i mali; anche se in realtà, come recita il titolo, 'io' e 'l'altro' sono la stessa cosa. Se il pescatore italiano diventa il suo persecutore per diffidenza e pregiudizio, neppure Youssef è rappresentato come un santo: lo dimostra l'episodio del ritrovamento di un cadavere, gettato da una carretta del mare.

Dal bisogno di riconoscimento al desiderio mimetico

Integrando la sociologia funzionale e la ricerca psicologica, spesso contrapposte sul tema dell'antropologia religiosa, Girard propose una prospettiva di sintesi che vede nel sacrificio un mezzo per ristabilire l'armonia comunitaria costantemente minacciata dall'aggressività delle forze in campo.

Prendendo le distanze sia da Freud, sia da Lévi-Strauss, con Girard il sacro torna ad avere una sua funzione, in quanto dimensione che mantiene la violenza all'esterno della comunità grazie all'immolazione di una vittima espiatoria, anche se simbolica.

Si tratterebbe allora di un'esigenza collettiva, atta a trasfigurare la violenza dannosa in un'altra dimensione che rafforza l'intera società che prende parte al rito. Giuseppe che ammazza Jousef in fondo non fa che espellere / distruggere quel disordine che ci abita. Uccidere l’Altro serve ancora a purificare la scena, a rendere lecita la conquista dell’ordine.

La visione antropologica dell'accademico francese si fonda sulla teoria mimetica, secondo cui tutti tendiamo a convergere verso gli stessi oggetti: dall'analisi del genere romanzesco per Girard si evince che il desiderio dell'oggetto non sarebbe tanto legato ad una brama di possesso, quanto al riconoscimento presso gli altri: noi vogliamo sempre quel che vogliono gli altri. Giuseppe arriva all’azione in quanto applica a Jousef esattamente le stesse idee che pensa lui, le riconosce, inorridisce e – secondo la prassi dell’omoastasi della sopravvivenza – finisce per ‘agire’.

il desiderio (quindi la paura)

  • non è un rapporto a due soggetto-oggetto,

  • ma una triangolazione, con un modello più o meno conscio che vi si frappone e rappresenta una mediazione. Si instaura così anche una circolarità tra il modello e l'Altro, visto come rivale.

In generale allora,l’italiano desidera l’identità, cioè la ripetizione del già fatto,già visto, in cui l’altro è ‘integrato’ , cioè assimilato, totalmente. Le idee che lo guidano (come quelle di padre Pio ) sono frutto non di carattere ma di inculturazione. La sua paura nasce appunto dal’industria culturale, dal modello culturale entro cui nasce e cresce. L’idea che il mondo sia facilmente catalogabile in Noi e gli Altri, ovvero nel Bene e nel Male. E il Monstrum è in agguato.

Il terrorismo come ulteriore sfondo: i media attraverso la cronaca di fatti del genre (raccontati del resto in modo più o meno superficiale ed emotivo)insistono a rafforzare la banalizzazione del mondo. Ci sono violenze e sono i terroristi a farle. Punto.

Perché ecc. ecc. non è il caso di cercarlo. Urge l’immediato, dominano le emozioni. E l’azione non può che essere un rapido passage a l’acte.

Insomma il Potere agisce sottilmente non più con la costrizione ma con il condizionamento delle emozioni. L’insensata cultura odierna della paura va indebolendo la nostra libertà. Già Aldous Huxley fin dal 1948 ricordava che il potere si regge su tre pilastri: paura, nemico, nazione. In effetti di questi tempi sappiamo che la stessa parola ‘nazione’ è un contenitore di privilegi,di forza, esclusione, basato com’è su un presunto legame di sangue a legare persone che hanno – come dice la biogenetica- enormi mescolanze di geni: del resto anche i Romani non sono altro che profughi che trovano sede mescolandosi coi latini ecc. senza accampare questa ipotesi di ‘natio’ come elemento di coagulo, ma quello di societas, in cui semplicemente delle persone si legano (si federano) per risolvere in accordo dei problemi. (appunto quel che c’è tra Giuseppe e Jousuf all’inizio del film). Per governare, per far decidere spontaneamente di mettere a rischio le proprie vite si insiste sul concetto di ‘nemico’: se non c’è lo si costruisce.(questo è in effetti quel che merge nella storia contemporanea almeno dal 1989: le guerre in Oriente, vicino o lontano, sono il portato di ciniche razionalità di potere di superpotenze, sia politiche che economiche: il terrorista, al di là della sua specifica motivazione è il ‘nemico’ per eccellenza, pronto all’uso in tutte le forme, in ogni momento, senza schierare eserciti ingombranti. La parola oramai basta da sola a determinare la ‘paura’. “La paura uccide in un uomo perfino l’umanità. E la paura, miei cari amici, la paura è la vera base e il fondamento della vita moderna. Paura della tanto agognata tecnologia che, se eleva il nostro livello di vita, accresce le probabilità di una nostra morte violenta. Paura della scienza, che con una mano ci toglie più di quanto generosamente profonde con l’altra. Paura delle istituzioni, di cui è facile dimostrare la fatalità, e per le quali, nella nostra fedeltà suicida, siamo pronti a uccidere e morire. Paura dei Grandi Uomini che, per acclamazione popolare, abbiamo innalzato a un potere del quale inevitabilmente fanno uso per ucciderci e asservirci. Paura della Guerra, che non vogliamo, e che tuttavia con ogni mezzo ci sforziamo di provocare” . paura semplicemente di tutto quello che i media ci fanno percepire come minaccia perché differenti per qualche elemento …

Una volta individuato il nemico, è inevitabile passare all’atto. In che modo? L’uccisione, la distruzione violenta del motivo di inquietudine.

Insomma c’è necessità di un sacrificio

Dalla teoria mimetica al capro espiatorio

Il meccanismo mimetico descritto da Renè Girard (la mimesis come fonte del desiderio) si riscontra in tutte le culture ed è esorcizzato, appunto, tramite l'atto sacrificale: l'uccisione dell'anello più debole, ritenuto dalla comunità come colpevole. Dai miti degli aztechi fino alle storie della pestilenza medioevale, passando per il pharmakos (φαρμακός) greco, lo sguardo di Girard intravede una costante: l'esorcizzazione del male passa attraverso il sacrificio del debole, creduto colpevole (transfert negativo), e poi la sua divinizzazione (transfert positivo).[1]

Naturalmente nel film il tutto appare in forma desacralizzata, con ovvia mancanza della parte finale della divinizzazione. In ogni caso alcuni neuroscienzati (tra cui Andrew Meltzoff e Vittorio Gallese) hanno trovato nella scoperta dei neuroni-specchio una conferma a molte delle tesi girardiane (facciamo quel che vediamo fare) e la desacralizzazione dell'atto sacrificale – inevitabile nelle laiche società della modernità - implica una violenza sempre più incontrollata, affidatra com’è sempre meno al rito e sempre più all’emozione del singolo, preda delle sue idiosincrasie .

Cert’è che questa divinizzazione si ritrova al contrario sempre più forme più fondamentaliste del terrorismo di ogni tipo,specie quelle di ispirazione religiosa, con il rischio di un avvio ad una escalation apocalittica di violenza globale totalizzante che porta all'estremo la visione di Von Clausewitz contro ogni forma di riconciliazione di stampo hegeliano: non una sintesi razionale tra gli opposti, bensì una escalation incontrollata di violenza che conduce inevitabilmente all'annientamento totale delle parti.

[1] La fede cristiana di Girard, convertitosi nella fase di scrittura del suo primo libro, si fonda sulla capacità del Cristo di smontare questo meccanismo: Cristo infatti diviene egli stesso vittima pur essendo innocente e quindi ne svela l'arcano. In questo senso, Cristo non può che essere Dio: e l'unica fede possibile sarebbe quella dell'imitatio Christi. La Croce potrebbe così rappresentare "la fine dei miti violenti ed arcaici", e si configurerebbe come un mimetismo inverso: non più rivalità per il riconoscimento, ma rifiuto del conflitto che ci avvicina, nel silenzio, a Dio.

[1] Lo sfondo è il mare: archetipo di una realtà aperta, di un sistema dinamico non chiuso, in cui ci si confronta con le ‘forze della natura’ nei limite del prevedibile. Il mare è segno del ‘ordine’ che non conosciamo, che ha i suoi modi, le sue forme, che solo fino ad un certo punto siamo in grado di affrontare in modo positivo. Il mare è ‘liquido’ fluido: la precisa corrispondenza con la metafora della società liquida tanto efficace che Bauman introduce quindici anni fa per rappresentare la scoperta della complessità del mondo, dopo l’ubriacatura arrogante della razionalizzazione moderna occidentale.

Il mare è il divenire, è il panta rei,è il non definito, il non definibile.

È però anche la realtà’bassa’ con cui l’uomo non si ridimensiona le sue ambizioni, ma che la fontre del suo vivere.

È l’equivalente della foresta interno a cameo, è l bosco delle favole, in cui si trovano pericoli ma anche opportunità.

Si vive se si va nel mare non se si rimane sulla terra.

E si vive perché si affronta la sfida, perché si continua la routine della sfida, senza altra meta che ‘sopravvivere’, sentirsi vivi, riempire lo spazio e il tempo a disposizione di qualcosa che dia sia risposta alla domanda del proto sé, sia risposta alla domanda de sé autobiografico, che si racconta una storia, un copione, un modello di ‘senso’ di ordine.

Dare pienezza alla vita materiale, dare pienezza alla vita culturale.

La sopravvivenza è legata a due condizioni

  • La barca

  • L’Altro

La prima corrisponde alla nave Argo del mito che per prima corre le acque: il suo nome Medea rinvia in modo allusivo proprio a quel mito, da cui emerge l’archetipo della sfida del vello, del tradimento di M. che ammazza il fratello per dar pienezza alla sua jouissance, della ambiguità di M. madre /Donna che dà vita ma anche morte. Come del resto il mare.

Il secondo è l’allusione alla condizione naturale di fragilità dell’animale uono, che nel momento in cui vuole sopravvivere deve necessariamente farsi branco; branco che quando affiora la cultura (la coscienza) è dettato dalla scleta, non dalla genesi. Il branco animale è coartazione di geni simili che si riconoscono e si aiutano nel risolvere il problema della sopravvivenza ; il branco umano diventa prima o poi polis o societas, ovvero scelta consapevole di associarsi, di avere socii per poter affrontare con migliore efficacia il problema del sopravvivere, e del sopravviere in modo ancor più economico di quanto non si faccia da animali.

Non casualmente i due protagonisti hanno quindi di fatto lo stesso nome declinato semplicemente nelle varianti fonetiche di due lingue diverse ,ma affini:quella occidentale e quella orientale, a sottolineare la unica ascendenza culturale, la stessa componente utopica di ‘telos’ artificioso.

In effetti l’etimologia ci rinvia al concetto di crescita, che naturalmente nella dimensione naturale corrisponde – per i Greci – semplicemente aad un ciclo vitale che dal nulla arriva ad una forma che trova la sua acmè fino a tornare prima o poi nel Nulla;ma nella dimensione teleologica dell’ebraismo (quindi dell’islam, del cristianesimo e nella sua versione laica del Progresso)ha una direzione che va oltre questo limite fisiologico, verso un ordine di perfezione in cui si trascende definitivamente l’dea stessa di ‘fine’.

In ogni caso il nome Giuseppe deriva dal termine ebraico yosef fondato sul verbo yasaph il cui significato è "accrescere". Per estensione, il significato del nome Giuseppe è quindi "egli aumenterà" che deve essere inteso come augurio per la nascita di nuovi figli. Adattato in lingua greca come Ioseph (ma anche come Iosephos e Iosepos) e successivamente in quella latina nelle forme Ioseph e Iosephus, il nome Giuseppe deriverebbe da Ioseppus, un adattamento del tardo periodo latino.

In ogni caso la struttura della scena è in qualche modo assimilabile a quella propria della tragedia greca, in cui erano due (al massimo tre ) i personaggi in scena con il contorno del coro (il senso comune, il popolo) a mettere in chiaro la dimensione problematica dell’agire (del senso dell’agire) per l’individuo che deve fare i conti sia con le cose che accadono (il mare) sia con la gente introno(i pregiudizi culturali, l’inconscio cognitivo che dentro ci dà forma:in questo caso a volte i personaggi di sfondo del paese, ma soprattutto i media)

I due protagonisti,quindi nella situazione iniziale, sono socii in una stessa ventura.

Yousef e Giuseppe sono due facce della stessa medaglia.

Uno solare, spiritoso, che prende la vita con filosofia ("io tifo sempre per la stessa squadra, quella che vince"), l'altro burbero, chiuso, sospettoso nei confronti di chi ha il potere e si approfitta del loro lavoro. Si chiamano nella stessa maniera ma provengono da due mondi diversi, dove da una parte si ascolta Khaled e dall'altra Gigi D'Alessio, eppure lottano per gli stessi ideali: vivere - e non sopravvivere - con la loro attività di pescatori.

L’equilibrio è dato dal fatto che condividono fatiche idee giochi e speranze (minime)

Un'altra interpretazione proposta da recenti studi etimologici indica "persona che crescerà" come significato del nome Giuseppe.

O “accresciuto da Dio” (?)

In Arabo: يوسف , ovvero Yūsuf, Yousef, Youssef, Yusuf, Yussuf,Youssof


 
 
 

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