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Visitors:ordine dal disordine

  • Immagine del redattore: brunovetich
    brunovetich
  • 27 gen 2016
  • Tempo di lettura: 5 min

L’ospite inatteso

Situazione iniziale

Walter Vale, professore universitario di Economia, vedovo da cinque anni, vive una vita monotona in una cittadina del Connecticut.

È un esemplare rappresentante della dimensione tipica dell’uomo occidentale: privo di soddisfazione nel campo del lavoro (ripete da vent’anni lo stesso corso all’università,non fa ricerca, non ha prospettive di realizzazione di sé nel lavoro);privo di relazioni che non siano quelle formali (scuola) e di soluzioni culturali (cerca di tornare a recuperare la ‘pienezza’ della musica classica, ma senza frutto, senza entusiasmo, con la fredda presenza di rimprovero della maestra di piano che cerca solo il suo rendiconto personale).

In un mondo che in teoria predica il progresso, si scopre il non senso del movimento quotidiano del singolo che pure si è realizzato a livello professionale.

Le scene iniziali in casa lo vedono sempre con un bicchiere di vino in mano:

conforto che lascia tutto allo stesso punto.è una citazione del fatto che dentro di noi alberga una componente dionisiaca,un bisogno di andar oltre i confini delle regole (della Legge del Padre). Solo che lo si fa paradossalmente ‘entro i limiti’,cioè secondo le forme (le formule) che ha costruito intorno a noi la società, nella sua evoluzione, nella sua costante ricerca di un equilibrio tra sicurezza e libertà,tra controllo e abbandono.

La prima scena è significativa di questa condizione dio ‘limite’: interno di un appartamento,campo americano di un uomo di una certa età di spalle, che sta in piedi davanti ad una finestra che affaccia verso un o spazio aperto, con alberi e cielo.si appoggia quasi con una mano, mentre con l’altra regge un calice di vino rosso.

È un vero quadro che cita le scene tipiche del pittore statunitense Hopper : la solitudine, ma soprattutto la fisicità pesante delle mura che isolano, che negano l’accesso all’esterno.;l’ordine dettato dal dentro, dall’ordine aggraziato del mobilio e dell’arredo moderno, che ci tiene lontano dal disordine di quel che accade là fuori. Non vediamo lo sguardo del Soggetto:essendo alle sue spalle,lo spettatore assume ovviamente il suo stesso punto di vista e “sentiamo” le cose come lui,siamo costretti ad assumere una percezione empatica con lui,a sentire le sue emozioni.

Non ci sono parole:come dire che non c’è Logos, ma solo percezioni a determinare emozioni, ovvero quelle risposte fisiologiche che mirano ad ottimizzare le azioni intraprese dall'organismo nel mondo che lo circonda, quindi sentimenti.

L’emozione è probabilmente tristezza, come connotano la staticità, la postura,il voltar le spalle (per lo spettatore abituato alla ripresa di fronte questa strana posizione comporta una sorta di rifiuto di comunicazione, di apertura verso se stesso. Una moderna reinterpretazione della icona antica della melanconia: non una donna ma un maschio,non seduta ma comunque in posizione di inazione,in ogni caso anziano.

Ipotesi sula semiotica della scelta: è il maschio che nella contemporaneità perde la sua spinta all’azione,il suo achievement,è il maschio che scopre la sua debolezza nel momento in cui gli viene a mancare la relazione che lo sostiene, la donna che ha costruito intorno a lui delle routine di senso e di sicurezza, di calore e di cura. Lo stare in piedi probabilmente dice proprio della perdita di ‘movimento’: sta lì come se dovesse ‘partire’ (il viaggio dell’eroe) ma se ne sta esitante, incerto, a trastullarsi di fronte a quel ‘fuori’ apparentemente così neutro, ma di fatto per lui così ostile, proprio per la sua piatta prevedibilità (come si scopre in seguito, quando la scena si sposta all’università).

In senso generale è l’homo faber che esita, che scopre il non senso di questo mondo fatto di forme eleganti, di forme precise, di regole,di certezze, di ‘ordine’.

All’università tratta in modo asettico uno studente che ha ritardato la consegna di un lavoro, poi si limita a copiare l’incartamento del ‘nuovo’ corso accademico (che – si scopre dopo – ripete da vent’anni).

Questa scena sottolinea proprio la crisi del modello dell’intellettualità occidentale che si vede barricata dentro i circoli chiusi e freddi delle aule a difendere le certezze che si è costruito nel tempo e che vuole vivere come porto di difesa rispetto all’anarchico fluire delle cose che accadono. Un intellettuale arenato alla forma gelida di un “essere” che si ritrae di fronte alle inevitabili presenza di ‘rumore’, di disordine che vengono dai giovani (ancora per fortuna disarticolati nella loro approssimata maniera di stare in mezzo alle cose). anche la mitologia ‘ricerca’ che vantano queste istituzioni è stanata nella sua banalizzante ripetizione di procedure che a nulla portano, se non alla noia, al ‘bianchetto’ con cui cancellare il tempo. Il futuro è una resa all’esistente, un accettare le cose per quelle che ‘sono’, per come ti assaltano: le cose ‘sociali’ beninteso, della società antropizzata alla maniera occidentale. Anche la partecipazione ad un convegno appare nella sua evidenza di inutilità, di scena sociale di auto percezione di successo:la vedovanza gli proietta chiara l’insulsaggine di queste recitazioni sociali, in cui la ribalta concede una sensazione di autorealizzazione, che in effetti si regge su relazioni che stanno fuori scena (la famiglia, il matrimonio,la moglie) e che appunto nella storia non compaiono se non in absentia, come il non detto che attraversa decisamente le nostre vite e che per questo finiamo per scoprire solo quando vengono meno.

A casa prova, sempre con un bicchiere di vino in mano, anche a recuperare la pratica della musica:tenta di far lezione (sempre in casa non fuori, in altro ambiente) con una insegnante di pianoforte, anch’essa anziana. Ma l’impaccio è totale. Anche la relazione con la donna che viene ad assisterlo in casa è del tutto formale:la donna non mostra empatia nei suoi confronti,ma solo interesse per il pianoforte, per l’oggetto materiale. quindi alla fine decide di smettere.

La musica accanto al vino (e alla donna) si propone come elemento della cultura dionisiaca,come richiamo alle pulsioni, alla libido che si abbandona, alla necessità di jouissance. Ma il tipo di donna è quello ‘melanconico’ della vecchia, che è come dire della fine dell’energia, dell’esaurimento della voglia di muoversi, di scoprire le cose del mondo, di chi ha ormai deciso in modo definitivo le sue routine, ha inciso profondamente i suoi confini con il fluire delle cose e se ne sta ritratta nella sua nicchia ecologica a difendere la quiete. Questa donna poi è esemplare anche del tipo delle relazioni che vince nella contemporaneità occidentale: valgono le cose, i denari più che le persone.il sorriso di maniera non nasconde l’esclusiva passione per l’oggetto che non parla e la totale incapacità 8non volontà) di attenzione nei confronti di una ‘persona’ che con la sua ‘forma’ macera dentro di sé le complesse infelicità che attraversano ognuno di noi. Sensibilità per le cose (come magari per gli animali, per il cibo, per lo sport..in altri fuori del film)e relazione del tutto impersonale, dettata dall’utile scambio di qualcosa per qualcos’altro: né cura nè ‘dono’.

Quanto alla musica, in questa situazione è ovviamente quella ‘classica’,quella cupa e malinconica della tradizione aristocratico – borghese che impone linite alla jouissance, quella che nella pratica secolare dà pienezza agli interni borghesi dell’ordine sociale e della produttività. Una musica che punta all’armonia o alla melodia, una situazione assolutamente non naturale: la musica dll’ars,la musica della umanità che con arroganza si impoone al disordine della natura, al rumore delle cose intorno. Il distacco di Walter con il mondo a questo punto è totale:non c’è speranza,non c’è luce. C’è di speranza,pura ripetizione di non sense.

Rottura dell’equilibrio

Quando Walter di malavoglia accetta di sostituire un collega a una conferenza a New York City, scopre con sorpresa che il suo appartamento, da tempo disabitato, è stato affittato con un imbroglio a una giovane coppia, il siriano Tarek e l’africana Zainab.

La scintilla che determina la spinta al cambiamento è proprio dall’Altro, dall’incontro con quanto non è prevedibile ed è anzi necessariamente temuto dentro l’ottica della routine. L’Altro si rivela come persone dotate di umanità simile a quella dei nordamericani, che vogliono anzi ‘fare’ gli americani: musica,lavoro..

Solo che è altra la musica e altro il lavoro. non la classica armonia o melodia ma il ritmo dei tamburi,non la fredda determinazione delle ‘parole’ proposte come ‘cose’ (intellettuale delle nicchie auto riproducentesi )ma lo scambio diretto con gli Altri, al mercatino e nei parchi. Non forma e distacco, ma sostanza e passione.non certezza ma rischio


 
 
 

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