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Marie Antoinette :la scoperta della differenza

  • bru bru
  • 12 feb 2016
  • Tempo di lettura: 46 min

cc

  1. La scoperta della differenza: MARIE ANTOINETTE

Trama

Appena uscita dall'adolescenza, una ragazza (figlia di Maria Teresa, imperatrice d’Austria) scopre un mondo ostile e codificato, un universo rigido e frivolo (la corte di Versailles)dove ognuno osserva e giudica gli altri. Sposata ad un uomo che non si cura di lei (Luigi XVI), Maria Antonietta si stanca rapidamente dei suoi doveri di rappresentanza e si costruisce un’esistenza di piaceri (cibo,feste)fino a inventarsi un suo mondo di ‘autenticità’ (petit Trianon,fattoria,eros). Tutto però finisce con la rivoluzione dell’89.

Sfondo

  1. “ i miei film parlano di donne alla ricerca di una loro identità e di una loro strada come adulte”. Sophie Coppola

  2. “L’individuazione è in generale il processo di formazione e di caratterizzazione dei singoli individui, e in particolare lo sviluppo dell’individuo psicologico come essere distinto dalla generalità, dalla psicologia collettiva. L’individuazione è quindi un processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale” (C.Jung, Tipi psicologici, Boringhieri, Torino, 1968, pagg. 463-465)

  3. “Il viaggio dell’eroe ,secondo Chris Vogler percorso quasi obbligato, che consente all’uomo di superare prove e confronti col mondo esterno per conquistare nuova consapevolezza di sé, è valido anche per la donna? O alla donna è riservato un viaggio più personale, profondo, che richiede altri percorsi? A differenza del viaggio dell’eroe quello dell’eroina non ha bisogno di affrontare prove esterne per prendere coscienza della propria condizione di donna e raggiungere la completezza come essere umano. È un viaggio tutto interiore. È la ricerca dell’anima vera della donna, un’eroina indipendente dalle influenze degli altri ma capace di unirsi all’altro in quanto essere completo.” (il viaggio dell’eroina,Maureen Murdock, 2011)

  4. “questo vuoto non è il risultato di un’ “astrazione” dalla pienezza concreta dell’esistenza umana; esso è primordiale,è costitutivo della soggettività,precede qualsiasi contenuto che possa riempirlo. E pone un limite all’idea del senso comune,secondo la quale quando si conversa con le persone si debba seguire la via di una sincerità diretta ed evitare gli estremi sia dell’etichetta ipocrita sia dell’intrusiva e indebita intimità. Forse è giunto il momento di riconoscere che questa via di mezzo immaginaria deve essere completata con entrambi i suoi poli estremi: la ‘fredda’ discrezione dell’etichetta simbolica che ci permette di mantenere una distanza rispetto al prossimo,e il rischio (eccezionale) di oscenità che ci permette di stabilire un legame con l’altro nel Reale della sua jouissance.” (Zizek,Meno di niente,2,La cosa stessa:Lacan,La sigaretta dopo, p.235-236).

  5. Da Treccani: Anamorfòṡi (alla greca anamòrfoṡi) s. f. [dal gr. ἀναμόρϕωσις «riformazione», der. di ἀναμορϕόω «formare di nuovo» [1]–

L’ ipotesi

La figura della regina Marie Antoinette è tuttora presente nell’immaginario collettivo occidentale come autrice della famigerata battuta sulle brioche:quando le si riferisce che il popolo è affamato,immediatamente suggerisce di mangiare allora brioche. Attraverso questo aneddoto si è confermato un tipico archetipo antifemminile,quello che pensa la donna come essere privo di cervello e quindi in fondo incapace davvero di empatia.

La regista Sophie Coppola,portatrice di un mix antropologico complesso,com’è inevitabile per gli eredi di emigrati italiani che si integrano in nuove comunità wasp,riscrive per così dire- questo apologo per realizzare due obiettivi ben precisi: liberare la donna dagli stereotipi culturali di “genere”e esporre una fenomenologia dell’identità “estetica” contemporanea.

Il metodo per ottenere questi risultati è semplice:non limitarsi a mettere in scena la singola situazione delle brioche,ma ricostruire tutta la cornice (storica,sociale psicologica,antropologica) entro cui l’avvenimento prende senso. Così quella battuta infine appare come espressione di una individualità che si è venuta faticosamente costruendo a contatto con le asprezze e le coazioni di un mondo (la corte di Versailles) che si rivela dapprima fonte di spaesamento ed alienazione,poi terreno di (relativa)conquista,attraverso un processo di iniziazione pieno di cedimenti e di successi,alleanze e scontri. Entro questo quadro la battuta sulle brioche si rivela tutt’altro che un segno di stupidità,bensì una prova di arguzia e prontezza mentale,cioè semplicemente come un bon mot,una delle strategie fondamentali per sopravvivere nelle trame seducenti ma velenose dalla “società delle buone maniere”.[2]

Probabilmente la regista,all’inizio, si è semplicemente posta una domanda:l’aneddoto della brioche è effetto di stupidità (secondo la vulgata maschilista che vede nelle donne poco “cervello”) o sintomo di una “intenzione” (ovvero di consapevolezza e di personalità)? Convinta del fatto che le scelte degli umani non dipendono tanto da una presunta disposizione genetica,quanto dalla cornice socioculturale entro cui prende forma la persona,per Coppola la risposta al dilemma è consistita appunto nel ricostruire il processo di formazione che porti M.A. ad essere M.A.,ovvero una persona che,a partire da un certo momento della sua vita, organizza il suo tempo non solo sulla base dei criteri etici che le vengono imposti dall’esterno (la madre,la corte),ma anche di quelli estetici,cioè edonismo e gioco come principio fondante dell’identità personale. Insomma suggerire al popolo affamato di mangiare brioche al posto del pane è,per qiuanto paradossale possa sembrare,una sorta di consiglio filosofico:l’equivalente,postmoderno, del cristiano “non di solo pane vive l’uomo”.

È chiaro che il popolo,per tante ragioni,ma soprattutto perché la pancia vuota non dà spazio alla mente, non poteva capire né tantomeno apprezzare.

A questo punto è facile intendere cosa vogliono dire le parole della Coppola sopra riportate:il film è prima di tutto la storia di una “donna alla ricerca della propria identità”:una giovane principessa dapprima si smarrisce nella rigida razionalizzazione di una corte che ha inventato l’efficienza a danno delle differenze individuali[3],successivamente riesce a conquistare delle forme che la distinguano dalla generalità,realizzando insomma la propria individuazione.

Ma il personaggio che emerge dal racconto non è solo un vivace e brillante protagonista di quella antica società,bensì anche una icona suggestiva della complessa umanità contemporanea: Marie Antoinette è un homo psycologicus che affida alle forti esperienze dei sensi,alle passioni suggerite dal corpo,la ricerca della qualità della vita,come compensazione del Vuoto che emerge dalla competizione quotidiana del Reale economico(Reale che accelera i tempi,distrugge le relazioni personali, fa trionfare la logica di un utile senza altra direzione che se stesso). I segni a cui ricorre la regista per costruire questa rete semiotica, sono oltre alle parole della sceneggiatura(che intervengono a chiarire a mo’ di aforisma il senso di certe scene,imitando quasi la pragmatica del bon mot) soprattutto immagini,cioè gesti e oggetti; e in particolare il cibo,anzi i dolci. L’edonismo in effetti si nutre di oggetti e di gesti,di consumo e di corpo.

Un dato

Esemplare in questo senso è proprio l’inizio del film:prima ancora che si avviino i titoli di testa,la regista mette lo spettatore davanti ad un quadro, una immagine statica,che si propone come chiave per collegare tra loro i vari frammenti del racconto. Una vera e propria sfida ermeneutica:

per cominciare uno schermo che rimane per qualche secondo intenzionalmente nero. Questo colore,nella nostra percezione comune, è segno dell’assenza di luce;quindi per analogia,può essere segno dell’assenza di qualcosa,insomma il Niente. Il vuoto (orrendo?pacifico?) da cui emergiamo alla vita,quel vuoto di non senso che ci rattrappisce ogni momento e ci spinge continuamente ‘altrove’ a cercare un ordine,un qualcosa che dia linea e scopo e giustificazione ai singoli gesti meccanici che ci spingono.[4]

In effetti a riempire questo nero / vuoto sono delle note rock. Perché la musica’? perché il rock? Se è vero che “la voce seducente rappresenta il legame materno pre edipico, al di là / al di sotto della Legge,il cordone ombelicale che rivivifica (dalle ninne nanne materne alla voce dell’ipnotizzatore”[5],allora la presenza costante nel film della musica pop in contrasto con quella classica vuol forse sottolineare come nella vita di M.A. ci sia un eccesso psicotico di “attenzione” alla “voce materna”, di rinvio costante alla pre - edipica jouissance con cui si percepisce il reale,attraverso il filtro e la messa-in- in forma delle voci che creano ‘armonie, ordini, regole, assonanze’ :in effetti quella della madre contro la ‘voce’ superegotica delle parole del Logos paterno (presentato anche attraverso le classiche note della musica antica).[6]

appaiono in primo piano le scritte tipiche del peritesto, in colore rosa smoking. L’effetto cercato nello spettatore è di sollecitare un orizzonte d’attesa ambiguo:non si tratta certo di un racconto realistico o semplicemente storico, ma ci saranno emozioni forti,fatti di contrasto più che armonia,di ritmo più che di melodia.

A interrompere lo scorrere di questi titoli di testa, un tableau vivant.[7] Un campo medio:sullo sfondo una parete color verde salvia,su cui emergono strutture geometriche regolari a dare variazione armonica. Al centro della scena,una bionda ragazza in desabillè, morbidamente distesa su una chaisse longue,mentre una inserviente,seduta di spalle,senza volto,sulla parte bassa dello schermo, si prende cura dei suoi piedi. La giovane è ferma,a volte muove languidamente a caso,come per gioco, un piede,una mano,e si gira anche a fissare per un po’,con sguardo divertito,la macchina da presa,cioè lo spettatore[8]. Alla sua destra,cioè in primo piano, e alla sua sinistra,lungo la parete,una serie articolata di torte e dolci.

Il numero esagerato (espressionistico,si potrebbe dire)[9] di torte infine vuole evidentemente richiamare l’attenzione di chi guarda proprio su questo dettaglio.

Accettando la sfida ermeneutica,si possono immaginare ipotesi di significato circa questi dati,ricorrendo a procedure analogiche che – ricordiamolo- consentono di collegare elementi particolari a concetti generali non solo secondo la logica dell’inclusione ma anche della identità. Così la parete di sfondo,con il suo color pastello e le sue cornici simmetriche,non è solo un necessario componente del l’arredamento delle case del Settecento (inclusione) ma “è” il Settecento,meglio, il Razionalismo del Settecento. E quindi “sta per” la monotonia della vita “geometrica” imposta dal biopotere: un mondo piatto,senza scosse,poche regole sempre uguali (la modularità delle cornicette). Il rosa shoking contrasta ovviamente con questa opacità: è un colore artificioso,disturbante (choc,appunto) rispetto ai tenui toni di sfondo,ripetuti anche nella poltrona che accoglie il corpo disteso della ragazza;choc distribuito qua e là - gambe,scarpe,torte -per indicare dei trick point che rompono quella dimensione di controllo razionale per far emergere il perturbante: cioè il piacere,anzi l’eccesso di piacere,la presenza ingombrante della jouissance. Il corpo – nel boudoir – si rivolta contro le prescrizioni della mente, e si concede l’eccesso del disordine (le vesti scomposte) e l’eccesso dell’abbandono al piacere della gola (ci sono ben otto torte intorno a questo corpo rilassato!).

Una vera filosofia del boudoir, quindi, ma anche – per così dire- una citazione parodistica delle manie del ‘700: è la toilette che mette a nudo la sostanza più rilevante dell’interiorità,là dove il corpo si libera dalla coazione sfarzosa dei broccati ed emerge nella sua vitalità. Un’immagine alla Fragonard,per esaltare la supremazia dell’esistenza “estetica”( dolci,eleganze,otium),sull’”etica” (il lavoro è presente nel quadro, ma è dell’Altro,un Altro che è al nostro servizio[10]) nella capacità di dare un senso specifico all’indistinto dell’esistenza sociale. Da un lato l’homo psycologicus della postmodernità (la giovane bionda a riposo),dall’altra l’homo eoconomicus della modernità (la serva che produce,che consente al primo di “godere”). Insomma il narcisismo primario del Puer contro il labor e la pietas del Senex.[11]

Insomma M. A., attraverso la particolare tessitura dei colori di questo tableau vivant,è già proiettata di fatto nel mezzo della principale problematica antropologica del suo tempo:da una parte il razionalismo classicistico la chiama al selfcontrol ,dall’altra il sensismo libertino la chiama alla jouissance[12]. Ma la artificiosità del rosa e il commento musicale di ritmo tecno la presentano immediatamente come una icona della cultura pop contemporanea,che predica la necessità dell’esperienza estetica (edonismo,performance) per dare senso – in privato- ad una esistenza pubblica (ma ormai solo economica) che ne è assolutamente priva.[13]

La psicologia e lo spazio

L’intenzionalità semiotica così rilevata,autorizza a pensare che il film offra varie possibilità di interpretazione.

La prima,ovviamente trattandosi di una ‘storia’, è quella psicologica della vita di una donna che attraversa ambienti e vicende del suo tempo, come protagonista,più o meno volontaria, della ‘storia’ ufficiale del suo tempo[1] .

La caratteristica del racconto della Coppola è però che questa componente psicologica è messa in scena più che attraverso le ‘parole’ dette ,soprattutto attraverso una insistita e ridondante ricostruzione di spazi e ambienti: a tutta prima, allo spettatore medio questa scelta può dare soprattutto l’impressione di una specifica precisione filologica da parte della regia,cioè della volontà di restaurare la dimensione realistica di scene antiche,con attenzione maniacale per i costumi,per le scenografie, per le coreografie. In effetti però questo ‘realismo’ sembra collidere con la colonna musicale del film, prevalentemente rock,[14] che decostruisce l’attesa dello spettatore che pensa ad un film di genere ,un “film in costume”: “che c’entra il rock col ‘700?”. Allora anche sulla base del tipo di musica utilizzato (come appena ipotizzato in nota) è possibile riconoscere in questa cura per i luoghi la volontà di accompagnare la narrazione degli eventi biografici(matrimonio ecc.) con tutta una serie di indizi ermeneutici che, sulla base delle ipotesi di Peter Sloterdjik, consentono di mettere in relazione diretta la psiche umana con la dimensione dello spazio. In Sfere,S. infatti sostiene che l’intera esistenza dell’uomo è segnata (in termini archetipici) dal fatto che la primaria esperienza dell’esistere consiste, per ognuno ,nel fatto di giacere materialmente nell’utero materno. È questo ‘giacere’ che costituisce ininterrottamente il ‘modello’ di riferimento nei vari tentativi di ‘’dar – forma’ alla propria vita: in ogni individuo e in ogni società, l’ordine che ci si dà non è altro che una sorta di ‘ripetizione’, di ‘riproposizione’ della dimensione dello spazio . In Sfere,S. infatti sostiene che l’intera esistenza dell’uomo è segnata (in termini archetipici) dal fatto che la primaria esperienza dell’esistere consiste, per ognuno ,nel fatto di giacere materialmente nell’utero materno. È questo ‘giacere’ che costituisce ininterrottamente il ‘modello’ di riferimento nei vari tentativi di ‘’dar – forma’ alla propria vita: in ogni individuo e in ogni società, l’ordine che ci si dà non è altro che una sorta di ‘ripetizione’, di ‘riproposizione’ della dimensione ‘quieta’ del ricettacolo di intimità,di interiorità pura, di ‘bene essere’, senza vincoli esterni che è propriamente dato dallo stare nell’utero ( trasformando la vulva, di fatto, in porta che collega l’interno preoriginario con l’esterno della post nascita[15].

Insomma se è vero –come dice S. – che la caratteristica fondamentale dell’essere umano consiste nell’abitare, inteso come essere-nello-spazio, costruire-lo-spazio, abitare-uno-spazio-umanizzato (e umanizzante), in effetti anche la storia di M.A. non è altro che un variare,subire,costruire luoghi: da Shoenbrun (luogo delle sicurezze infantili,delle passioni ‘naturali’ ,dell’ utero materno[16]) viene bruscamente es- portata a Versailles (luogo ostile di regole e rituali rigidi[17],di adulti e stranieri,avvezzi a esistenze misurate solo con il logos ),entro cui riesce a edificare un locus amoenus di spazio privato (il Petit Trianon [18].,con annessa fattoria a la autrieche) per arrivare infine ad una camera da letto distrutta[19] e saccheggiata priva di vita e di ordine e di bellezze.

La condizione psicologica di M.A. è detta insomma con gli spazi in cui vive:e così ogni dettaglio con cui si propone questo o quello spazio è di fatto un indizio della dimensione psichica della protagonista. e ogni inquadratura, con la sua logica di composizione di spazi, aggiunge informazioni in questo senso.

Consideriamo per cominciare ,come Coppola rappresenta la condizione della quiete uterina prenatale nelle prime sequenze del film: lo spettatore si trova dapprima,per qualche secondo,davanti allo schermo totalmente dominato dal colore ‘nero’ ; poi, improvvisa,emerge la luce da lunghe tende che si spalancano sullo sfondo facendo scorgere in primo piano la testa di una ragazza addormentata, col corpo ancora allungato nel letto, in posizione fetale,con le gambe al caldo delle coperte, verso il centro dell’inquadratura, intorpidita e infastidita proprio dall’arrivo della luce. il corpo è disposto come se stesse per uscire dallo schermo,in una posizione che ricorda forse quella del feto che sta per uscire dalla caverna uterina. In termini psichici: la condizione di benessere dello star lontani dalle regole apollinee (luce) della società,nel vivere immersi nell’indistinto dello ‘stare’,della conchiglia lacaniana prima del rischio dell’apertura delle valve all’esterno.

Le difficoltà dell’adolescente quando è costretto a subire le ingiunzioni castranti della Legge (Lacan), sono rese iconicamente proprio nella rappresentazione dei rituali a cui viene iniziata la ragazza dall’arrivo a Versailles: sono la camera da letto e la sala della colazione a fungere da palcoscenico in cui lo spettatore finisce per condividere lo stato di disturbo della protagonista:la natura pubblica di questi spazi sorprende la giovane che conosce la massima difficoltà proprio nel momento in cui si rende conto che le sue categorie estetiche ed etiche sono semplicemente inadeguate a dar senso a quella realtà. La sceneggiatura di corte la obbliga a ‘mettere – in – forma’ ogni atto nei termini di una significazione, di rappresentanza, imponendole una identità im – personale dove conta l’ethos e non il pathos. La sottolineatura di questo contrasto è evidente nella scena della prima vestizione dopo il primo risveglio a Versailles,in cui M.A. rimane,al freddo, nuda ed esposta agli sguardi dei molti che assistono,mentre si succedono i rituali di ‘privilegio’ per chi ‘deve’ aiutarla a vestirsi. C’è poi tutta una serie di prime colazioni accanto al marito: inquadrate con campi lunghi che danno primato all’insieme barocco, di lusso e di eccesso,rivelano ulteriormente la assoluta impersonalità della relazione tra moglie e marito nonché con il cibo:echi di formule rituali,silenzio,digiuno..

Fino a questo punto le scene hanno sempre un che di eccessivamente monumentale: ma dal momento del parto in poi si rileva l’adesione ad uno stile più ‘raccolto’, di tipo borghese,con primi piani o a figura intera,che fanno emergere uno spazio idealizzato,personale, in cui emergano progressivamente i soliti elementi dell’utopia bucolica : il canto, l’ombra,l’acqua corrente e ..infine l’amore.

Questo passaggio viene rappresentato ,in particolare,attraverso la ricostruzione nei complesso del Trianon di una “vera”fattoria austriaca, sottolinea come anche M.A. si lasci trascinare dal clima romantico di fine secolo:la cura per la sua malinconia è nella rincorsa all’ “altrove”,a spazi lontani,che diano soddisfazione alla “nostalgia” e al bisogno dell’ “autentico” :prati,animali al pascolo,fiori,passeggiate soliatrie,letture sentimentali (anche Rousseau!).

la situazione nuova (la scoperta e la costruzione di uno spazio davvero ‘privato’,quello dell’intimità) ha inizio però entro una cornice ‘rinascimentale’: una sorta di ‘battesimo’ al tempio.

L’impianto dell’inquadratura è monumentale:lo sfondo lontano,solare, vede un edificio di stile neo classico ( quello del Petit Trianon),come punto di fuga di un largo viale, davanti al quale in primo piano (con un taglio americano) si situano due gruppi di personaggi (donne con abiti chiari e maschi con abiti scuri)che si confrontano per una cerimonia:la consegna delle chiavi dell’edificio da parte di Luigi a M.A., che tiene in braccio la figlioletta infante[20]

La seconda scena è pure chiaramente costruita come citazione di uno dei quadri di Watteau: la camera da presa si muove dall’esterno verso l’interno di un grande salone in penombra,mettendo progressivamente a fuoco la scena raccolta di un piccolo gruppo di persone,alcune di fronte e illuminate,altre di spalle e in penombra;la musica lenta di soli plettri. Un salotto,un vero salotto borghese,in cui i padroni di casa dedicano tempo alla armonia intima dell’arte che spinge al raccoglimento e non alla dispersione. Un ventaglio, la luce laterale,colori pastello,una rosa che passa da un galante damerino alla dama: tutto segnala la quiete,la ricerca di una dimensione lenta di interiorità.

La terza scena ,dopo un rapidissimo squarcio di letto e lenzuola in disordine,si apre sulla ‘natura’:in una serie di inquadrature in cui si alternano campi medi e primi piani,si succedono rapidamente immagini fresche e verdeggianti di prati,capre,stagni,cigni;e madre e figlioletta in semplici abiti campestri chiari che si affaccendano per dar da mangiare erba ad un agnellino.

Il cibo - in questo quadro di ‘autenticità’ - è proposto come segno della semplicità: l’erba viene strappata dalla bimba e offerta all’agnello che inghiotte. Cibo naturale,dunque crudo:la natura è lì a disposizione degli animali per essere colta e nutrirli. È la metafora più lieve dell’utopia rousseauiana del ritorno alla natura, che ancora oggi attraversa la mitologia postmoderna dell’ecologia : il cibo come segno della volontà di liberarsi della civiltà,dei suoi vincoli,dei suoi costi.

Questa dimensione ideologica è ancora più evidente nella scena successiva,quando M.A. riceve in visita delle amiche:l’arrivo è segnato dal passaggio attraverso una sorta di buia galleria vegetale,da cui si esce per entrare nel locus amoenus ,un mondo artificialissimo in effetti, ma che si propone come ‘natura’. Una breve passeggiata per i viali porta le donne prima all’orto,dove raccolgono frutti della terra, e dopo a un pergolato dove viene versato del latte appena munto. È il trionfo dell’ ‘autentico’[21]! il vero cibo naturale,semplice nemmeno cotto,appunto in contrapposizione all’artificio delle preparazioni di corte e del mondo in genere

Però a sottolineare la fragilità che sorregge questo edonismo,interviene presto una serie ininterrotta di interni dai colori cupi e notturni,entro cui si registra la progressiva avanzata della fine (la rivoluzione dell’89) fino al quadro finale dello sfacelo della camera da letto reale saccheggiata. Questo secondo tableau vivant si rapporta consapevolmente a quello che apre il film secondo una logica di ironia tragica:qui non ci sono persone vive,quelle che dovrebbero esserci sono morte,anzi sono state uccise;l’ambiente,ripreso con un totale,è dominato da un colore azzurro scuro che suggerisce la penombra,la fine della luce, ma è anche una probabile riferimento al colore del primo ‘salotto’ che nel seicento inaugura la società delle buone maniere in contrasto alla corte[22]. Come la camera da letto sottolinea il fatto che l’idea del matrimonio come senso compiuto’ dell’esistenza è retto da una logica di disastro,così l’azzurro tenebra è metafora della desolazione che subentra inevitabilmente alla frenesia di piaceri di una vita da privilegiati:la felicità possibile è data solo da una breve serie di momenti,e dura solo finché il caso,gli eccessi,i vincoli emergenti della realtà inconoscibile non impongano altre direzioni.

L’insieme di questi cambiamenti finisce insomma per far rilevare come la ricerca dell’antica grotta intima del giacere prenatale è naturalmente e inevitabilmente destinata all’insuccesso: la fuga dalla ‘storia’ e dai suoi vincoli si conclude davvero con il ritorno nel buio del Nulla. Ma l’ultima sequenza della storia,prima del quadro finale,presenta una regina che si muove dentro una carrozza verso la direzione opposta a quelle con cui è stata,precedentemente rappresentata il suo allontanamento da Vienna,cioè dal nido: il suo sguardo è di una donna triste ma serena nella consapevolezza di andare verso il buio senza fine della morte,che non è quello prenatale forse,ma in qualche modo capace di quiete[23].

Il viaggio dell’eroina

Se consideriamo la storia della regina sulla base della prospettiva ‘junghiana’ dell’individuazione,si può vedere la vicenda particolare di M.A. come esemplificazione di quella che,secondo M.Murdock, può essere ritenuta la specifica procedura femminile di ‘individuazione’:

  • all’inizio ella si adegua al modello antropologico del Padre - in questo caso la madre imperatrice- che impone la supremazia della res publica sulla res privata.

  • Si cala nei panni duri della regina

  • Poi, di fronte alla scoperta del Vuoto di senso di questa dimensione,recupera la sua femminilità, cioè l’attenzione alle passioni,al corpo,

  • Infine conquista in modo consapevole e ironico la femminilità inizialmente confusa nei termini di “cura” e “dono”

Questa evoluzione è sottolineata,oltre che dalle immagini da parole.

Le scene che meglio raccontano della condizione di quiete della ragazza,prima dello strappo dal nido natale,sono proprio le prime del film: lo spettatore si trova dapprima,per qualche secondo,davanti allo schermo totalmente dominato dal colore ‘nero’ ; poi, improvvisa,emerge la luce da lunghe tende che si spalancano sullo sfondo facendo scorgere in primo piano la testa di una ragazza addormentata, col corpo ancora allungato nel letto, in posizione fetale,con le gambe al caldo delle coperte, verso il centro dell’inquadratura, intorpidita e infastidita proprio dall’arrivo della luce. il corpo è disposto come se stesse per uscire dallo schermo,in una posizione che ricorda forse quella del feto che sta per uscire dalla caverna uterina. In termini psichici: la condizione di benessere dello star lontani dalle regole apollinee (luce) della società,nel vivere immersi nell’indistinto dello ‘stare’,prima del rischio dell’apertura all’esterno.

Le parole della sceneggiatura intervengono subito, nelle scene successive,in cui è vestita e condotta per luoghi fastosi e dominati da artificiosi abbellimenti e silenzi,fino al greve salone in cui la madre,assistita dalla figura maschile del figlio Giuseppe,già unito nella gestione del potere, le rivolge non parole di affetto ma prescrizioni:

L’imperatrice d’Austria, Maria Teresa:” L'amicizia che unisce l'Austria e la Francia, sarà cementata da un matrimonio. La mia figlia piu' piccola, Antoine, sarà regina di Francia!!!!!” [24]

M.A. : “Deludere tante aspettative sarebbe il mio più grande dispiacere”

È la madre che parla: ma in effetti è la voce della Legge, del Pater che vive nella Madre che si è spostata nello spazio del Maschio Politico e che si fa presente e pressante incombenza di doveri,di utilità generali, di richiamo alla Legge. Dietro una madre c’è sempre una Medea, secondo Deleuze; “l’aspetto terrificante di questa figura della madre lacaniana è che essa è onnipotente e insoddisfatta allo stesso tempo . corrisponde alla formula quaerens quem devoret,cerca qualcuno da divorare” il paradosso è che più è onnipotente (in questo caso è addirittura imperatrice) più è ‘insoddisfatta. Infatti,se si ipotizza che ogni soggettività umana si costituisce nel tentativo di offuscare il ‘vuoto’ che ci domina,due sono le modalità con cui si struttura la soggettività femminile,quella della “buona” madre (che riempie la sua mancanza con un bambino),e quella della “cattiva” madre(che riempie il vuoto con la propria figura fobica terrificante,Medea appunto). Nel caso di M:A., dal momento che la Madre non risponde (alla richiesta d’amore della figlia – visto che la ragazza viene sottratta al suo naturale mondo di ragazza protetta dalla famiglia, di persona comunque ‘differente’,destinata cioè a costruire la sua individualità attraverso una propria esperienza specifica fino alla morte, per essere assegnata alla ‘funzione’ univoca e rigida di custode dell’ordine esistente,cioè della stabilità politica) - essa si trasforma appunto in un Potere Divoratore, che impone i suoi desideri alla figlia.

La ragazza si trova allora di fronte alla necessità di accettare lo schema ‘epico’ dell’eroe maschio della tradizione comunitaria, che è tale perché non sceglie cosa fare,ma si limita a ereditare il suo compito,sforzandosi di compierlo nel modo più mirabile.[25] “Deludere tante aspettative sarebbe il mio più grande dispiacere” è la affermazione che dà crisma all’accettazione da parte della giovane principessa del suo ‘ruolo’ epico: solo che già in questa formulazione l’attenzione è spostata dalla civitas alla soggettività sentimentale. ‘un gran dispiacere’ è quello che spinge M.A.: è lo sguardo attento e rigoroso dell'Altro che mortifica e immobilizza la ragazza,ed è con senso di colpa che si avvicina all’esecuzione dell’impresa. Non lo fa certo per sé (l’eroe non ha diritto a desideri personali,ha solo sensi di colpa) ma per non dispiacere gli altri. È quello che Mead chiama il ‘sé degli altri’ a guidare davvero l’esistenza dell’uomo. Lo sguardo dell’Altro che limita e costringe. Ma non nel senso ‘sostanziale’,bensì come dice Lacan

“nonostante io sappia benissimo che non c’è nessun grande Altro,che il grande Altro è solo la sedimentazione,la forma reificata dei legami intersoggettivi,sono costretto ad agire come se il grande Altro fosse una forza esterna che governa tutti noi”

Insomma M. A. è,in questo senso solo è un caso particolare della più generale pratica umana della costituzione del soggetto, che nasce dalla mancanza costitutiva del soggetto (che in sé non esiste da nessuna parte e tende inesorabilmente all’entropia di senso,mancanza che ci spinge ad assorbire dall’Altro,dall’esterno ‘forme’, a costruire neghentropia) e dalla mancanza del/nell’Altro (che a sua volta ha bisogno dell’altro per costituire un ordine,un codice,una forma). La Madre si costituisce solo nell’Altro / figlia;la Figlia si costituisce solo nel/dall’Altro Madre.

Naturalmente una ragazza che va sposa in terra straniera è inevitabilmente costretta a vivere situazioni stranianti di paradosso.

Così,quando ormai è già dedita all’esecuzione dl suo compito politico, la ragazza si trova a percepire il monstrum della sua condizione:

M.A. “cosa sarò se ci sarà rottura tra le nostre famiglie?dovrò essere Austriaca o la Delfina di Francia?” . L’ambasciatore:” ambedue,direi!”

viene qui evidenziato nella sua estrema semplicità la tipica situazione batesoniana di doppio codice: la ragazza continua a ragionare in termini razionali di categorie nettamente distinte, secondo il principio geometrico della non contraddizione, secondo cui esiste la realtà concreta e materica del singolo individuo,cioè del Soggetto che presume di aver diritto alla sua ’differenza’ in contrasto con la astrazione generalizzante della comunità. Ma l’ambasciatore la riporta sui sentieri politici della simulazione,della doppiezza, della finzione,della natura impersonale delle relazioni sociali. Questo scambio di battute mette in scena in effetti la radice stessa del conflitto che struttura la’modernità’: privato vs pubblico,individuo vs società, ragioni del Soggetto vs ragioni del Sistema.

All’inizio la giovane Delfina tarda ad accettare questa prova di maturità:non sa arrendersi alla necessità misteriosa di dover vivere una vita doppia,mescolata,anfibia,senza nessun mentore che davvero la guidi. Sola con sé stessa,conosce pianti e delusioni, Ma,accanto alle giovani dame di corte dedite allo scherzo e alla superficie del mondo, finirà per fare la scelta di essere contemporaneamente austriaca e francese nella maniera del ‘teatro’: l’impossibilità di essere davvero l’una (differenza,ambiguità) e l’altra cosa (omogeneità,equivalenza), la porta infine a scoprire che la ‘recita’ della ‘corte’ può essere vissuta con la ‘leggerezza’ in vigore da più di un secolo nei ‘salotti’ della dame .La via d’uscita consiste nel non occuparsi mai delle cose serie, di politica, che rischiano davvero di determinare conflitti ‘reali’ (ovvero di accentuare la dissociazione tra spinte della jouissance e pragmatismo raziocinante), e nell’adottare le pratiche dello ‘spettacolo’: escludersi dalle decisioni, esibirsi nella ‘vetrina’ brillante del ‘beau monde’, secondo i copioni della politesse, della sociabilitè. Insomma recita la parte “femminile” che la società francese dei salotti riserva alle donne. Tutta l’esistenza allora scandisce i suoi tempi nella ripetizione -mai finita- di giocosa e precipitosa (come sottolinea il montaggio vertiginoso) ricerca di piccoli oggetti (a)[26]: dolci,vesti,scarpe sostituiscono quel che prima poteva essere l’ideale (il graal,l’utopia). l’eroina continua a imitare in fondo il modello maschile,che cerca il successo,ma la competizione è tutta nella sfida ‘rituale’ dell’estetica, del comprare e mostrare. Si accettano con ironica consapevolezza dì un gioco i rituali di corte,come la recita mattutina della vestizione e della colazione, la presenza delle dame di compagnia; ma appunto come pura ‘forma’ a cui non corrisponde adesione ideologica. insomma si scopre che la ‘forma’ può essere porta di accesso alla jouissance . Ma una jouissance mimetica, a la page:è l’Altro,sotto le spoglie della tendenza,a imprimere direzione alle sue mosse. Si comprano scarpe,vesti,si balla per essere ‘omologhi’ nella omogeneità: pura superficie ovviamente,come sottolinea preziosisticamente la citazioni pittoriche di Wharol,della Nike

A partire dal parto M.A. supera questo stato di omologazione e abbandona il copione di “donna francese” da salotto, per recuperare la sua natura femminile “autentica”. naturalmente questo passaggio è sempre segnato dal meccanismo girardiano della mimesis:il filtro della nuova sensiblerie romantica la portano a privilegiare luogi e tempi non di lotta,ma di personali ricerche di autenticità, di altrove.

La chiarezza filologica con cui la regista ricostruisce questo passaggio si riconosce sia nella caratterizzazione del nuovo spazio con gli elementi del ‘pittoresco’(la vita rustica come rifugio,come recupero delle dimensioni ‘autentiche’ delle relazioni sociali,in cui il singolo è oggetto di ‘cura’)sia con l’immissione dentro questo spazio delle altre due componenti tipiche del topos arcadico, cioè l’arte e l’eros.

L’arte è presente dapprima nella forma passiva di godimento di un concerto da camera (che corrisponderebbe oggi allo stare a sentire musiche in vario modo,dalle cuffiette alle radio),poi nella forma atfiva della recitazione in prima persona in una piece teatrale, per una piccola comunità di amici. Come a sottolineare la consapevolezza raggiunta dalla ‘romantica’ M.A. che,come il Whilelm Meister di Goethe,sa che la vita si può vivere solo attraverso una sorta di recitazione consapevole:il copione che ci aggrada ci aspetta solo su una scena finta,come quella di un teatro, mentre il copione che ci tocca accettare va invece adottato nella scena sociale con la massima flessibilità. Così è madre sincera, moglie secondo protocollo, ed infine,quando arriva l’occasione, amante.

E l’occasione arriva proprio entro uno scenario di disturbo della quiete finora descritta: quando il re consorte la sollecita a presenziare alla premiazione dei soldati a corte[27], incontra di nuovo il conte Ferzen, occasione mancata nel passato (in occasione di un ballo in maschera,quando ancora cercava di vivere secondo la logica binaria dell’ or) ma adesso pienamente colta nella sua nuova dimensione di donna consapevole della necessità di collegare il ‘maschile’ col ‘femminile’, ovvero di seguire la logica dell’and e non dell’or. Cioè unire alle necessità esteriori della forma quelle interiori della jouissance:l’eros, l’abbandono ai piaceri del corpo,accanto alle cure di madre e moglie.

Anche in questo caso il passaggio all’atto è preceduto da scene che sottolineano la natura stilizzata di questa scelta:prima di arrivare alla sequenza dell’amplesso,caratterizzata da dettagli di gusto camp,[28] i due amanti condividono con un gruppo di amici situazioni giocose di leggerezza. “Così fan tutti”[29]. Quello che fanno M.A: e Ferzen, lo fanno gli altri: il desiderio della regina è ancora una volta mediato dall’Immaginario.

La prima scena è quella di un simposio serale in cui,consumato già il cibo,ci si dedica a calici di bollicine,a gridare piacere e allegria,a giochi di società in cui ci si ritrova a interpretare,inconsapevoli quasi, l’identità di altri (ancora focus sul “recitare”). Lo scherzo,la leggerezza, la piacevolezza,il gioco caratterizzano ancora il rincorrersi notturno su scale,corridoi e siepi, fino al momento in cui ci si apparta a coppie:un gioco di società, appunto, in cui il gioco finalmente porta alla luce la spontanea ‘autenticità’ delle emozioni e delle passioni del corpo, lontano da regole, per cui una regina si unisce con un conte, ma non più come conte o regina, bensì come giovani desiderosi di trovare piacere.

Se questo scenario di brillante felicità è segno del ritorno di M.A. alla femminilità lasciata agli inizi della sua esistenza,le vicende finali della caduta della monarchia portano davvero alla scoperta della profonda sostanza del femminile:il dono di sé, la cura per l’altro. Si ri propongono ambienti e situazioni (saloni di Versailles,colazioni,notti )e anche stavolta la regina non mangia mentre il marito accanto a lei indugia confusamente a ripetere i gesti del mangiare. Lei è adesso sempre con lo sguardo verso il suo consorte,con la preoccupazione e la intensità di chi conosce il dolore dell’altro e lo condivide,senza parole,solo con la presenza dello sguardo che indica questo riconoscimento, e con il con tatto assiduo della mano sulla mano a trasmettere vicinanza psicologica e affetto. La carezza,come dice Levinas,segna la qualità morale della nostra relazione con l’altro:non la fredda compunzione del distacco,ma la tenera assistenza della “madre”. Forma semplice, intima, borghese della capacità vivificatrice della Magna Mater.

il cibo

Entro questo quadro, è facile individuare la forte funzione semiotica del topos del cibo. La giovane regina è rappresentata molto spesso nell’atto del mangiare,dolci in modo particolare,senza che di per sé questi gesti modifichino la situazione:evidentemente servono come metafora fondamentale per comunicare allo spettatore,in forma analogica e quindi riccamente patetica, la serie complessa dei significati impliciti che la trama di superficie nasconde.

Un rapido elenco ci aiuta entrare in questa rete di sintomi e a costruire figure si senso:

  • mangia dolci con le amiche, in carrozza,durante il trasferimento in Francia:

  • digiuna durante le colazioni e le cene dei primi tempi a Versailles;

  • comincia a piluccare dolci la sera a letto mentre il marito legge libri sugli orologi;

  • a colazione allora,azzarda a gustare qualcosa;

  • nello stile della donna da salotto,si ingozza di dolci assieme alle amiche;il montaggio alterna in successione rapidissima scarpe,dolci,e vesti:

  • in occasione delle feste alterna il gioco con dolci e champagne;

  • c’è anche la scena malinconica dei resti mattutini di una baldoria notturna;

  • nello scenario del Trianon,la cena all’aria aperta,di notte,con vino e fumo;

  • nel momento della Rivoluzione,digiuna mentre il marito prende un caffè,nei giardini di Versailles;

  • nell’ultima cena, il marito beve vino, e lei digiunando,lo assiste,lo accarezza.

Il cibo è usato dalla Coppola nei termini formali della semiotica,come un segno “puro” :mangiare o non mangiare marca il significato della singola scena e contribuisce a dare continuità di senso a tutte le varie situazioni. Mangiare come senso,digiunare come non senso;mangiare come benessere,digiunare come malessere. È in fondo quello che si vive oggi nela quotidianità di esistenze estetiche. La situazione di sconforto e depressione corrisponde all’inappetenza,alla svogliatezza di gustare le cose del mondo, di tuffarsi in mezzo alle sfide della vita. La gioia e la densità di qualche situzione portano al consumo frenetiche e additivo di cose,che cose “dolci”,che addolciscono la nostra condizione alienata.

Insomma il cibo una metonimia della jouissance: la sua repressione ci priva di senso, della piena realizzazione del Sè, la sua estrinsecazione libera la nostra differenza,la nostra libertà, anzi la nostra libido. Il cibo come segno di “pieno” e di “vuoto”

Quando la ragazza dalla nativa Austria viene portata in Francia come merce di scambio – promessa sposa del Delfino - con il compito politico di rafforzare le relazioni tra i due paesi, la sceneggiatura si sofferma a lungo nella rappresentazione del viaggio in modo da far cogliere in modo assolutamente patetico l’esperienza traumatica del detournement subito da M.A.:prima del passaggio della frontiera,essa si intrattiene spensierata nella carrozza-nido, giocando a carte con le amiche,con i vetri del finestrino e mangiando dolcetti e frutta,in modo rilassato; quando però a Versailles comincia la sua routine di Delfina, viene messa in scena il suo digiuno ripetuto sia in occasione delle colazioni spettacolo( in cui davanti a una folla di servi e nobili di corte,al suono rococò di un complesso da camera,assiste basita al silenzioso e metodico movimento di mano e di bocca del marito e pur di fronte a piatti ricolmi di dolci e frutta,rimane muta e intimorita), sia durante le cene ufficiali con il re e i componenti più intimi della corte (in cui mentre tutti gli altri allegramente ingoiano,lei si limita a giochicchiare con un creme caramel ondeggiante). Il suo sconcerto,la sua incapacità di agire sono rappresentati proprio con il non mangiare,col guardare i piatti ma non toccarli.

Il cambiamento dei rapporti col timido marito è segnalato proprio dal fatto che invece di generiche e formali parole di buona notte, cominciano a condividere qualcosa che dà loro piacere:ma mentre per il giovane Luigi,il piacere è nell’intellettuale lettura sulla tecnica di fabbricazione degli orologi (chiara esemplificazione della sua incapacità di rapportarsi al tempo concreto della vita e di vivere solo secondo formule tecniche),la ragazza mangia qualche dolce, come a dire che comincia a tuffarsi nella mischia.

Nel momento della accettazione del copione di “donna galante”,esce dall’isolamento e condivide con le più giovani dame di corte, i riti compulsivi del consumo:a partire dai dolci, appunto,conquistando uno spazio di differenza rispetto alle rigidità della corte. E questo consumo si raddoppia e si triplica,come già detto, per le scarpe e i vestiti,toccando infine quello carnevalesco delle feste,in cui si alternano gli azzardi del gioco le esagerazioni del bere ed infine le trasgressioni del ballo. Fondante è qui la semiotica della maschera:il ballo allargato, il ballo in cui ci si mescola alla società estranea alla corte, è quello in cui si va in maschera per abbandonare la figura ufficiale e dare spazio alla propria autenticità nascosta. La maschera come rivelazione, quindi: come del resto oggi impone la pratica della identità flessibile e multipla,che consente l’autenticità solo nel cambiamento, che accompagna il fluire delle cose.

Dalla condizione in cui la rinuncia è imposta dall’esterno (dall’Altro) a quella in cui l’abbandono al desiderio consente di riempire di pathos e densità emozionale il Vuoto che emerge minaccioso dalle pratiche sociali ufficiali (gli acquisti compulsivi,le feste e –specialmente il cibo, vivacizzano il tempo altrimenti noioso della regina,privata com’è anche delle emozioni che in genere si accompagnano ad un matrimonio) A quella in cui la rinuncia è scelta autonomamente come segno di consapevolezza e di forma autonoma.[30]

Performance e non progetto.

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Se si tiene conto del fatto che a commentare questa situazione c’è una colonna sonora che mescola brani classici e pop music, un livello obbligato di lettura è necessariamente quello postmoderno di un testo che mescola l’antico ( le esistenze individuali nelle corti settecentesche)con il presente (le vivacissime sonorità pop) con il chiaro intento di dire parole di decostruzione allo spettatore contemporaneo,anche se distratto. L’accuratissima ricostruzione dell’ambiente,con arredamenti e costumi che danno davvero il sapore dell’epoca, cozzano con i ritmi sfrenati dell’elettronica vitalistica che interviene a sottolineare le situazioni in cui la giovane regina conquista uno spazio di libertà dalla gabbia d’oro della reggia. La regista,evidentemente, vuole portare lo spettatore lontano dall’appiattimento patetico che in genere accompagna la fruizione di questi film storici:non vuole che egli si limiti a immergersi in questo mondo di sogno lontano e non reale; vuole invece che acquisti la capacità di collegare il passato rappresentato con il presente vissuto. La storia di M.A. è in effetti la storia di ogni individuo che combatte contro gli imperativi sociali sul piano dello stile di vita: come ognuno degli individui globalizzati contemporanei, M.A. trova un equilibrio (precario) nel momento in cui prende atto della discrasia che esiste tra copioni pubblici e ambizioni personali,e conseguentemente adotta un’identità plurima,fatta di flessibilità stilistica in rapporto al variare delle situazioni e di accettazione della separazione tra spazi di obblighi e spazi di jouissance. La sua vita recupera senso appunto nella scoperta di avere diritto alla felicità,ma di poterla realizzare solo negli interstizi della scena pubblica,nell’abbandono al desiderio del desiderio. In tal modo il personaggio di M.A. si propone come perfetta icona della transizione dall’individualismo moderno a quello postmoderno: dalla condizione in cui solo la rinuncia consente di dare forma alla persona (il ruolo di regina è chiaramente rappresentato come una imposizione simbolica lacaniana,che cancella le ingenue pratiche di fanciulla in fiore pronta a suggere le piacevoli sorprese dell’adolescenza e la costringe a vivere dimensioni di razionale efficienza impersonale) a quella in cui l’abbandono al desiderio consente di riempire di pathos e densità emozionale il Vuoto che emerge minaccioso dalle pratiche sociali ufficiali (gli acquisti compulsivi,le feste e –specialmente il cibo, vivacizzano il tempo altrimenti noioso della regina,privata com’è anche delle emozioni che in genere si accompagnano ad un matrimonio).

Dal dovere che castra il piacere,quindi,alla nuova gerarchia del godimento come affermazione del Sé. E appunto questa transizione antropologica è rappresentata attraverso questa straniante combinazione di suoni:a volte i toni seri della musica da camera evidenziano le dimensioni rituali e istituzionali della vita di M.A. (come l’arrivo a Versailles,il matrimonio..);molto più spesso quelli a noi contemporanei,fortemente ritmati e frenetici,sottolineano la scoperta della dimensione performantica del tempo, percezione che accomuna M.A. e lo spettatore nell’uguale voler vivere la propria immediata esistenza di pulsioni e di corpo. Il ritmo dominante nel nostro presente,la prevalenza esclusiva dell’estetica rispetto all’etica, trovano espressione proprio in questi motivi musicali, col rinforzo anche di qualche dettaglio visivo maliziosamente inserito negli spazi settecenteschi proprio secondo la logica citazionistica propria del postmoderno:

un paio di scarpe da tennis nella selva di scarpette rococò,che la regista mette mostra con un montaggio velocissimo a sottolineare la frenesia del consumo che prende ad un certo punto la giovane regina con la complicità di compiacenti dame di corte[31];

una mise intima dal sapore di seduzione assolutamente novecentesca,quando si concede alla ventura dell’eros con il barone Ferzen,alla stregua di altre dame del tempo che lo avevano già avuto per amante[32];

un ballo in maschera con movenze e rituali assolutamente attuali. Lo spettatore riconosce nelle note pop la sua colonna sonora, quella delle sue spensierate serate dedite al divertimento,quelle serate in cui finalmente scompaiono i vincoli del lavoro,della famiglia, della società. E allora quando quella musica tace,quando quella musica si perde in note posate, subentra la consapevolezza che , per analogia, il vuoto fuggito da M.A. è il suo stesso vuoto. La musica e il ballo non sono altro che simboli del piccolo oggetto (a) che si fa preda veloce e precaria della nostra ricerca di senso, del nostro desiderare senza fine.

[1] Vi ricorrono talvolta i pittori per creare, dipingendo su superfici curve, delle illusioni ottiche. Più specificamente, è così chiamato un tipo di rappresentazione pittorica realizzata secondo una deformazione prospettica che ne consente la giusta visione da un unico punto di vista (risultando invece deformata e incomprensibile se osservata da altre posizioni

[2] A partire dal Seicento in Francia,accanto alla tradizionale cultura aristocratica dell’eroismo militare,si viene affermando,sotto la spinta incessante di donne di cultura e di iniziativa, la cosiddetta “società delle buone maniere”,entro cui l’affermazione dell’individuo passa non più attraverso le armi della forza e della spada,ma attraverso quelle della parola,cioè dell’argomentazione e soprattutto del bon mot,un vero e proprio duello di parole- non distante dalla tecnica dell’ “improviso” che caratterizza allora la Commedia dell’arte all’italiana -,duello in cui a decidere è la brevità e il rapidità della risposta. E Marie A., evidentemente agisce,anzi reagisce, secondo questa tecnica pragmatica di fronte alle parole di qualcuno che porta la notizia della fame del popolo.

[3] La corte di Versailles è solo la manifestazione più spettacolare dell’intero processo di razionalizzazione con cui lo stato moderno procede a creare ordine ed efficienza:tutto va reso omogeneo,omologato,per evitare conflitti. Le differenze (altre religioni, libertini) vanno semplicemente eliminate:a corte non sono ammessi comportamenti se non secondo etichetta,appunto secondo un’unica legge,che assimila tutti ad un unico linguaggio

[4] “la sostanza da cui ci siamo sviluppati e sulla quale facciamo assegnamento è incoerente,barrata,marcata da un’impossibilità” Zizek

[5] Zizek, Meno di niente,2,p.225

[6]La presenza insistita di questa musica assume un senso particolare alla luce delle ipotesi di P. Sloterdijk. secondo cui nella seconda fase pre-orale dell’esistenza nell’utero avviene per ognuno di noi l’iniziazione psico-acustica,proprio nella nostra condizione di feto: la voce della madre,con la sua tonalità,con il suo ritmo,sarebbe il frame su cui si misurerebbero tutte le future comunicazioni acustiche con il mondo, come un cordone ombelicale che,ancora dopo il parto,continua a tenere il neonato collegato con la madre. Il feto infatti ,una volta nato, filtrerebbe e valuterebbe i rumori e i suoni esterni attraverso ‘quel’ ritmo,’quel’ tono. E, tra i codici artificiali dell’uomo è la musica – ancor prima delle parole, anzi meglio se senza le parole-quella che meglio corrisponde,sulla linea dell’analogia,a questa continuazione di ‘senso’ – per così dire- sensoriale’:il respiro della madre,il suo battito cardiaco, le sue pause starebbero lì come sfondo archetipico del clima quieto e irenico dell’età prenatale a guidare l’udito del neonato,a selezionare l’attenzione e l’ascolto dell’ adolescente / adulto. Sulla base di quanto detto, pare allora di poter individuare nelle scelte di S.Coppola (che –come detto- nella colonna sonora alterna a brani di musica settecentesca molti brani di musica pop)una precisa contrapposizione tra il tipo musicale – per così dire –‘maschile’ (appunto la cosiddetta musica ‘classica’ che nel nostro mondo attuale si identifica con il modello dell’equilibrio e autocontrollo - cioè del vincolo,del potere) e quello ‘femminile’ dell’effusione, dell’espansione dell’energia,della jouissance:come se ci fossero due linee musicali di fondo, quella ,appunto, seria dell’adulto serioso,chiuso nei suoi codici etici, e quella sbarazzina del ragazzo aperto esteticamente alle aperture del mondo. La musica pop sembrerebbe adatta insomma a sottolineare la situazione complessa di M.A. che, per non soccombere ai codici rigidi impostile dalla corte nella sua funzione pubblica di regina, decide -a partire da un certo momento- di costruirsi una sorta di enclave,uno spazio ‘privato’, caratterizzato dall’ ‘abbandono’ alla sfrenatezza,uno stile di vita capace in qualche modo di riesumare l’estasi prenatale. E appunto i ritmi pop ,che si succedono con varietà e ricchezza in rapporto al variare dell’umore della giovane M.A: all’interno delle singole situazioni,proprio come avviene per i ‘ritmi’ ombelicali dell’utero materno,poco attenti come sono alla melodia e all’armonia, sono segni della ricerca di jouissance (felicità?),al di là di scopi e di progetti esterni.

[7] Fin da questa scelta,si comprende la consapevolezza filologica con cui Coppola ha cercato di riprodurre la realtà culturale del Settecento:apre la narrazione con la citazione di una forma tipica di quell’epoca,anche se adattata alla nuova tecnica cinematografica. I tableaux vivants erano dei veri e propri giochi di società praticati nelle corti e nei salotti:delle persone in carne ed ossa si mettevano in posa statica,per imitare la struttura dei veri quadri dei pittori,con lo scopo di rappresentare scene di genere. L’intento era certamente di mettere in scena dei concetti astratti,ma appunto,attraverso delle figure ferme:non teatro,quindi, che propone script,ma quadri,ovvero frame,in cui l’immagine concreta “sta per” un’idea, è una analogia o una allegoria. La Coppola ha semplicemente ripreso questo procedimento,separandolo del tutto dalla narrazione (sta,come detto,in mezzo ai titoli di testa) in modo da chiamare subito lo spettatore ad una sfida ermeneutica:questa è un’immagine, ovviamente. Ma quale è il concetto che vuole esprimere?.

[8] Lo spettatore scaltro a questo punto avverte di essersi imbattuto in un’altra citazione,questa del tutto teatrale o cinematografica: l’attore interrompe la finzione e si rivolge (come Ollio) ai chi guarda:noi spettatori – voyeur(la ragazza si trova nel boudoir!),ma prima ancora semplicemente spettatori siamo chiamati a interrompere per un attimo l’immersione naturalistica nella vicenda che sta per cominciare, e prender atto che è un play,solamente un play. Stiamo per essere guidati entro un film, che però ambisce probabilmente a porsi anche come un conte philosophique.

[9] Nel linguaggio comune l’azione propria dell’espressionista (tirar fuori dall’intero un dettaglio esagendone la dimensione) è in effetti indicata con il verbo “caricare” (i senso evidentemente). Da qui ovviamente “caricatura”,che di fatto è iuna pratica espressionistica,di deformazione del reale per parlare in modo allegorico,per dire con le immagini non emozioni ma concetti.

[10] La serva che sta curando i piedi della padroncina,voltata com’è, è senza volto: ovvero non è una persona, ma per dirla coi latini antichi,uno strumento parlante. Non casuale è anche – nella semiotica dei colori presente nel tableau vivant – il fatto che sia vestita di nero: lo stesso nero su cui stanno scorrendo i titoli di testa. Il nero che qui “sta per” il Vuoto.

[11] Questa prefazione,in definitiva, è effetto di un montaggio –per così dire- epistemologico,propria di un’opera d’arte completamente riflessiva,nel senso che mette in discussione il suo stesso medium: sta qui per avvertire lo spettatore “attento,questo è un film in cui l’arte vuole fingere non rappresentare la realtà, vuole significare e non illudere”.

[12] A partire dal Cinquecento,con l’affermazione della Modernità,si delinea un inaudito campo di battaglia:da un lato la Società (che costruisce un ordine nuovo,in coerenza con il progetto umanistico del Cortegiano e dell’Utopia),dall’altro l’Individuo (che resiste all’omologazione,accentuando ciò che lo differenzia). Da un lato quindi la Mente (la ratio,la razionalizzazione,ovvero il Potere nelle sue varie forme di Limitazione delle differenze individuali),dall’altro il Corpo( ovvero le pulsioni,i desideri,l’eccesso,la trasgressione,la pienezza di pathos). Appunto, tornando alla scena del film, da un lato le forme armoniche delle cornici,la misura del colore pastello,dall’altro le linee scomposte del corpo sul divano,l’eccesso (choc!) del rosa. E l’aver messo in scena la relazione servo /padrone nella sua natura di asimmetria (chi gode,gode proprio perché c’è chi lavora)tra chi gode il suo edonismo (cura,dolci) e chi lo procura (la serva) suggerisce anche un’intenzione ironica della regista:tutto luccicante,ma grazie allo sfruttamento di qualcuno

[13] nel linguaggio della globalizzazione,si può notare una analogia tra l’immagine di M.A. che gode mentre la serva la accudisce,e l’immagine del raffinato edonista che aborre i cibi pronti e il fast food,mentre (in questo caso) invisibili asimmetrie gli consentono di “godere”. Per cucinare e mangiar lento occorrono banalmente due cose: tempo e denaro. Ebbene la massa (che lavora o cerca lavoro) non ha nè tempo (sottratto dal mercato)né denaro. Insomma si prepara/consuma il cibo in modo rapido o lento in rapporto alla disponibilità di tempo e denaro:ma gli edonisti gastromaniaci non fanno che parlare di “cultura” (e basta)

[14] La presenza insistita di questa musica assume un senso particolare alla luce delle ipotesi di P. S. per cui nella seconda fase pre-orale dell’esistenza nell’utero avviene per ognuno di noi l’iniziazione psico-acustica,proprio nella nostra condizione di feto: la voce della madre,con la sua tonalità,con il suo ritmo,sarebbe il frame su cui si misurerebbero tutte le future comunicazioni acustiche con il mondo, come un cordone ombelicale che,ancora dopo il parto,continua a tenere il neonato collegato con la madre. Il feto infatti ,una volta nato, filtrerebbe e valuterebbe i rumori e i suoni esterni attraverso ‘quel’ ritmo,’quel’ tono. E, tra i codici artificiali dell’uomo è la musica – ancor prima delle parole, anzi meglio se senza le parole-quella che meglio corrisponde,sulla linea dell’analogia,a questa continuazione di ‘senso’ – per così dire- sensoriale’:il respiro della madre,il suo battito cardiaco, le sue pause starebbero lì come sfondo archetipico del clima quieto e irenico dell’età prenatale a guidare l’udito del neonato,a selezionare l’attenzione e l’ascolto dell’ adolescente / adulto. Sulla base di quanto detto, pare allora di poter individuare nelle scelte di S.Coppola (che nella colonna sonora alterna a brani di musica settecentesca molti brani di musica pop)una precisa contrapposizione tra il tipo musicale – per così dire –‘maschile’ (appunto la cosiddetta musica ‘classica’ che nel nostro mondo attuale si identifica con il modello dell’equilibrio e autocontrollo - cioè del vincolo,del potere) e quello ‘femminile’ dell’effusione, dell’espansione dell’energia,della jouissance:come se ci fossero due linee musicali di fondo, quella ,appunto, seria dell’adulto serioso,chiuso nei suoi codici etici, e quella sbarazzina del ragazzo aperto esteticamente alle aperture del mondo. La musica pop sembrerebbe adatta insomma a sottolineare la situazione complessa di M.A. che, per non soccombere ai codici rigidi impostile dalla corte nella sua funzione pubblica di regina, decide a partire da un certo momento di costruirsi una sorta di enclave,uno spazio ‘privato’, caratterizzato dall’ ‘abbandono’ alla sfrenatezza,uno stile di vita capace in qualche modo di riesumare l’estasi prenatale. E appunto i ritmi pop ,che si succedono con varietà e ricchezza in rapporto al variare dell’umore della giovane M.A: all’interno delle singole situazioni,proprio come avviene per i ‘ritmi’ ombelicali dell’utero materno,poco attenti come sono alla melodia e all’armonia, sono segni della ricerca di jouissance (felicità?,al di là di scopi e di progetti esterni.

[15] È in effetti in questo ‘luogo’ che il feto, che ancora non è un soggetto, ma che neanche si può definire un oggetto, nella sua prima fase preorale coabitativa fetale ha l’esperienza della presenza sensoriale (dei liquidi, dei corpi) e dei limiti della caverna uterina. Da questa esperienza spaziale della realtà deriva al neonato il rapporto col mondo: è quel regno intermedio fluidico, che si ripropone di continuo, prepotentemente, nell’esistenza postnatale

[20] Una sorta di rivisitazione laica delle scene sacre dell’esposizione al Tempio di Gesù,con la sacra famiglia e i sacerdoti a fare da cortina

[21] Questa ‘autenticità’ è destinata a diventare un punto critico della cultura europea nei successivi due secoli:ancor oggi se ne discute e la si cerca,spesso nelle lontane forme esotiche di pratiche orientali,come buddismi e new age in tutte le salse. Ma è ormai chiaro che ogni scelta del singolo non può essere altro (per dirla con Lacan) che interna al Reale,cioè a quella personale rappresentazione d’ordine del mondo che il singolo elabora nell’interazione con l’Immaginario entro cui si costruisce la sua relazione con il flusso delle cose reali;Immaginario che a sua volta vive dentro la complessa e reticolare magmaticità del Simbolico. Insomma è sempre il risultato di una stratificata serie di modellizzazione del Divenire.l’autentico è un Mito,quello di un “mondo senza industrie,senza civiltà’”, in cui esistono solo api,fiori,sogni,languori,cieli tersi, laghetti e gite : esattamente quanto l’immaginario globalizzato di oggi propone come punto di godimento nel mito della ‘natura’, del ‘biologico’, dell’ecologico’,del km zero.

[21] Et in arcadia ego, diceva il motto secentesco per sottolineare la precarietà dello stato di felicità cercato nell’Aradia del locus amoenus,dell’utopia di qualunque tipo: e a questo punto del racconto I disturbi della società fluida cominciano ad affacciarsi,come con questa allusione ad una Guerra. Ma essa viene ancora appena accennata, lasciata sullo sfondo, e presentata solo nella sua facciata luccicante di divise brillanti,di ufficiali giovani,di forza vitale generosa.

[22] La “camera azzurra” di Madame de Rambouillet è il primo luogo sociale che,a partire dal 1613,nella Francia della monarchia assoluta,cerca di istituzionalizzare uno spazio privato (con le sue specifiche regole) in contrasto con le ferree logiche del potere che intendeva ogni spazio come pubblico, ovvero come luoghi di soli doveri,senza diritti.

[23] La penombra di mezzo buio e mezza luce delle ultime scene probabilmente sottolinea proprio questa dimensione della nottola hegeliana che si leva in volo solo al tramonto: siamo condannati ad agire alla cieca,a compiere un cammino rischioso nell’ignoto,la cui meta finale ci sfugge completamente,per cui facciamo cose il cui significato possiamo stabilire solo retroattivamente. E così l’ultimo viaggio di M.A. si muove verso il non senso della vita,

[25] Trattandosi della vicenda di una regnante,è anche possibile interpretare la vita di M.A. come esemplare e paradossale esemplificazione di come agisce sul singolo il biopotere della stato moderno:come dice Foucault, è la crescente costrizione del’ corpo’ entro le ‘buone maniere’ che priva sempre più il singolo della sua jouissance. Questa costrizione è rappresentata per immagini dalla Coppola,quando ,ad esempio mette in scena la vestizione di M.A. nel momento in cui attraversa la frontiera francese: è,letteralmente denudata della sua primitiva forma per essere costretta dentro nuove vesti stringenti e asfissianti;e ancora quando,a Versailles,è ancora esposta nuda allo sguardo della corte al momento della vestizione mattutina nel rispetto delle rigide cerimonie di corte

[26] Una modalità di lettura lacaniana ci parla della esperienza di M.A. come modello del meccanismo fondante della soggettività,cioè della ‘conoscenza’ del ‘vuoto’ e del conseguente processo di ‘riempimento’ di questo vuoto attraverso piccoli oggetti (a), a partire dai dolciumi:la vita condotta eternamente come in un teatro in cui recita rigorosamente la parte assegnatagli,non dà senso: la vita coincide con la grande A di un desiderio inconoscibile e angosciante:allora ci si dedica alle cose che ci stanno a portata di mano per esercitare- nel quotidiano- il riempimento di senso altrimenti impossibile. E quindi acquisti, come scarpe e vestiti,e soprattutto dolci.

[28] Le calze,le pose,la musica,le posizioni,danno rilievo sempre alla consapevolezza di stare in posa, di recitare davanti all’occhio compiaciuto di chi vuole vivere il momento attraverso questi e non altri piccoli oggetti (a)

[29] Anche in questo caso il riferimento non è casuale:nel corso di uno di questi giochi,si parla esplicitamente di Mozart,l’autore dell’opera citata.

[30] La scena dei resti mattutini di dolci,che impegnano inservienti a raccattare cocci e che fanno notare allo spettatore le conseguenze di queste brillant notti di piacere,introduce il sema della distruttività di questa compulsione al consumo:cosa resta?senso di malinconia, che anticipa la situazione finale, quando la regina torna ad essere quella che non mangia:ma stavolta non è la depressiione,bensì la consapevolezza di sé,la conquista al selfcontrol. c’è aria di crollo, c’è davvero tragedia è lei ormai sa che il senso dell’esistenza bnon è nel consumo contagioso di dolci, ma nell’astinenza, nella capacità morale di controllare la natura e di costruire un proprio modo personale di morire.

[31] Inevitabile per lo spettatore che non dimentica, collegare questa scelta alla serie luccicante delle scarpe di Andy Wharol: pura superficcioe senza storia,queste scarpette hanno la funzione di rimarcare proporio la funzione annichilente del consumo. Non sono le scarpe ad essere necessarie, ma l’atto del comprare in quanto tale: il tempo vuoto della funzione pubblica si riempie non dei piccoli oggetti (a),del tutto transeunti,ma dell’agire per l’agire, del comprare per il comprare, che comporta il significato dell’affermazione di sé rispetto ai vincoli della Legge. Le scarpe, come quasi tutti gli oggetti che compriamo, non sono davvero comprate per essere usate:ma solo per consentirci provvisoriamente di agire “contro” la Legge (il Codice Simbolico del Da – Sein), anche se continuiamo ad essere naturalmente “dentro” la Legge (il Mercato)

[32] L’esposizione provocante da rivista patinata avvicina immediatamente l’immagine della regina a quella delle protagoniste delle riviste di gossip, delle vip del jet set, che affascinano maschi e donne proprio per la loro estrema disponibilità al cambiamento, al cogliere l’attimo.anche lei di fatti,come dice Girard,arriva alla degustazione dell’eros attraverso la spinta della mimesis,cioè arriva a desiderare quel che desidedera perché imita i desideri delle amiche, perché vuole quel il suo cotè vuole. Come appunto ognuno degli entusista adepti della società del mercato globale ben sa.

[33] che si può interpretare attraverso l'analisi dell'internazionalizzazione dei circuiti di mobilità del capitale economico, culturale, umano e mediatico cui A. Appadurai ha dedicato gran parte della sua ricerca.

[34] è sentita soprattutto nelle analisi di J. L. Amselle, M. J. Fischer e G. E. Marcus, che partendo da concetti simili all'idea di "soggettività interstiziale" elaborata da H. K. Bhabha elaborano una nozione di identità frontaliera, intesa come modo di porsi che implica necessariamente l'eterogeneità e la differenza.Così concepita, è chiaro, l'identità impone un senso diverso al concetto di dimora, che viene sempre più spesso intesa come "habitat in movimento" (I. Chambers) che delinea quelle che J. Clifford chiamava le "travelling cultures", cioè quegli spazi di credenza in cui si sovrappongono il postmoderno metropolitano e il postcoloniale storico-teorico

[35] La nave source di Couscous è esplicito riferimento alla mobilità della condizione sociale contemporanea in generale; mentre Big night registra in effetti uno stadio più antico, in cui il movimento appare ancora come una minaccia più che una condizione accettata (il mare grigio dell’inizio e della fine del film segna simbolicamente una nota di minaccia rispetto alla speranza di ‘stabilità’, di ‘luogo’ di terra appunto)

[36] La danza del ventre come conclusione della cena di Couscous e l’abbuffata in Big Night creano di fatto una traveling culture dell’occasione addirittura: le differenze strettamente culturali (dovute ad origini ma soprattutto a stili di vita diversi e complessi ) si attenuano fino a scomparire nella condivisione di pathos, emozioni, trance del corpo estatico.

[37] Derrida

[38] Chocolate,ad esempio, e cioccolaterie varie

[39] Alcuni interpreti pensano che le mulet alluda alla tenacia da mulo del protagonista nel perseguire i suoi obbiettivi

[40] È la soluzione del ‘sublime’ barocco, che fin dal ‘600,di fronte alla dimensione dell’illimitatezza del mondo e del tempo,propone due vie di uscita fondamentali: la resa,con l’affidamento al sacro religioso o alla performance, oppure la lotta impari, del titano contro l’Olimpo

[41] La moglie separata è una matriarca che impera in casa, cucina, protegge i figli contro le mogli straniere,maltratta il marito che porta pesci,lo rimprovera per non aver portato soldi della pensione. La brutale efficienza antica della sostanzialità dei bisogni,senza cedimento alle debolezze delle passioni,in cui ognuno ha i suoi doveri e basta.

[42] Slimane separato,vive in un piccolo hotel,dove ha una relazione con la proprietaria,bella donna non più giovane,e soprattutto gode dell’affetto e dell’assistenza materiale della figlia della donna. Saranno queste nella trama del film a intervenire nella soluzione dei problemi che emergono nell’impresa di Slimane. Insomma si può parlare di famiglia aperta, come ce ne sono dovunque nel mondo occidentale.

[43] Il gruppo di pensionati che condivide con Slimane la vita solitaria e perduta della pensioncina,si propone in effetti all’inizio come una situazione di maldicenza e di invidie:ma quando si passa lla concretezza superano queste parole e offrono gratuitamente la propria collaborazione a S. sulla base dei valori della ‘solidarietà’ e non dell’ ‘utile’. Ecco questa è la comunità globalizzata efficace,quella della liberalità non del liberismo

[44] La tecnica di ripresa che prevale in entrambe le scene è quella di primi piani o dettagli,in continua successione, attraverso una macchina a spalla, che porta continuamente lo spettatore a notare dettagli concreti del mangiare,i cibi presi e ingoiati,in modo da sottolineare (anche per l’insistita ridondanza di queste riprese) proprio la dimensione materiale ‘sporca’ del mangiare da un lato e le differenze peculiari dei singoli soggetti che partecipano al rito collettivo. Poche scene in campo lungo – che sottolinea la collettività – e molte le attenzioni agli individui: una comunità appunto postmoderna, dove importante è proprio la differenza dei singoli membri, ognuno con esistenze ed esperienze di vita particolari, che nella comunità portano i bisogni, i problemi, i desideri diversi e trovano la soluzione nel richiamo alla dimensione essenziale del vivere: corpo,corpo che ingoia,corpo che sente, che trasforma nella modalità ‘densa’ della ‘performance’ il tempo ‘finito’ dell’efficienza’ neoliberista cui dispone.

[45] Difatti , da un solo chicco di grano, grazie al fenomeno dell’accestimento, possono crescere decine di spighe e migliaia di granelli. È questo uno dei motivi per cui l’uomo, fin dai primi secoli della sua storia ha attribuito tanta importanza al frumento. Assieme alla facilità della coltivazione e alla facilità di conservazione il frumento,dà quella sicurezza che proviene dall’abbondanza del raccolto e dalla consapevolezza della preziosità del prodotto. inoltre,la pianta del grano simboleggia il ciclo delle rinascite,poiché il seme prima di nascere resta a lungo sepolto sotto terra (si pensi al mito greco di Demetra e a quello di Persefone)

[46] L’amore di cui si fa portatore il cibo in tale contesto, non è certo l’éros (attrazione sessuale)né la filìa (affetto per gli amici)ma (come suggerisce la storia insieme con l’etimologia)l’àgape,ovvero la volontà di assicurare la con – vivenza a chi siede con noi a banchetto, cioè la con – vivialità,ovvero il dono del vivere – insieme. Stiamo parlando quindi del livello non proprio spirituale ma ‘corporale’ del vivere: vivere infatti consiste nell’avere’ (procurarsi) ‘enérgheia’,appunto nell’ingoiare qualcosa che dia ‘energia’ al corpo.

[47] Misteri eleusini La vittoria della vita era molto più immediatamente evidente nell'agricoltura: la vite potata produce frutti ben più abbondanti, il seme sotterrato germoglia nuovamente. Anche i legami del rituale sacrificale si mantengono su questo livello: mescere vino (spondai) suggella il contratto, il matrimonio è celebrato con la spartizione di una focaccia o di pane; come prima, il mangiare deve essere preceduto dal tagliare e dallo spezzare, come lo sgozzamento precede il pasto di carne. Certo, la simbolizzazione potrebbe nuovamente sublimarsi nel non impegnativo, se anche qui non vi fosse una sterzata verso una realtà terrificante.

[48] 'è soprattutto durante il pranzo sacrificale che la cooperazione nel distribuire, dare e prendere è regolata dall'ordine sacro. Il fatto che il mangiare diventi una cerimonia differenzia chiaramente il comportamento umano da quello animale.

[49]Con l’avvento dell’agricoltura,ovviamente si perde la prevalenza della caccia con la sua evidenza di violenza e sangue, a favore della lenta pratica della semina e del raccolto: così nei riti bacchici di origine agricola, il sacrificio sarà non di animali ma di edera, e al posto della clava si brandisce il flessibile e nartece.

[50] Secondo la modellizzazione dell’omeostasi, praticamente tutti i sistemi biologici si trovano in una condizione di equilibrio instabile, caratterizzato da una oscillazione ‘emergente’ tra crescita e decrescita, tra accumulazione positiva e sottrazione negativa. Ove ci sia la prevalenza dell’una o dell’altra forma si avrà l’esplosione o l’implosione del sistema (Bertalanfy).

[51] E quando avvengono cose impreviste – non si trova il couscous – non ci si limita a riassestare il sistema con la negoziazione intersoggettiva che è possibile – magari litigando furiosamente entro una famiglia – ma emergono tensioni, se non angoscia (per S.) perché la relazione è appunto quella impersonale del ‘denaro’, della equazione domanda /offerta. Insomma il conflitto rischia di proporsi secondo forme di scontro, di catastrofe definitiva.

[52] cfr,inizio parole del padrone a Sl. Prima del licenziamento

[53] Ogni coppia conosce situazioni che rinforzano questo topos: la russa collega quel che il marito sfascia; ecc le varie singole figlie, costruttrici di ordine,contro i mariti distratti e distruttivi

[54] La sua identità è costruita sulla logica ‘parallela’ del ‘tutto e subito’, della analogia, dell’economia libidica, dell’abbandono al pathos,lontana dall’analisi faticosa e dall’investimento. Ecco il terreno friabile su cui sorgono facili risposte ‘fondamentaliste’: solo musica, solo cibo, solo sesso, insomma solo corpo; oppure solo verità ‘immediate’,senza mediazioni ed elaborazioni critiche, quindi quelle della religione’ o quelle dello scientismo e del tecnicismo. Riduzionismo epistemologico,dunque: che è,del resto, la cornice entro cui si muovono le grandi startegie ‘culturali’ dei governi occidentali, ma soprattutto italiani degli ultimi decenni,al grido di ‘utilità’ (efficacia,effcienza!)e contro ogni ‘umanesimo’(‘inutile’,anzi dannoso elemento dia – bolico, che cioè separa,distingue,crea dubbi..)

[55] ma poi va ad esercitare la sua ‘parte’ di caritatevole verso il ‘povero’,verso l’ Altro: il suo agire ‘disinteressato’ va oltre il familismo,va nella linea delle prescrizioni religiose dell’elemosina,del riconoscimento ‘pietoso’ dell’altro.ma vuol dire anche un certo distacco dall’impresa del ‘suo’ marito: sta nelle linee di un modo di essere della tradizione, non cerro nell’empatia passionale che appartiene alle figlie del resto è anche lei che – come emerge dalla parole concitate di Giulia, altra assente alla ‘festa’ – protegge le scappatelle del figlio, dentro una forma di machismo passatista che entra in rapporto con il mondo attraverso ‘ruoli /funzione’ non attraverso le differenze delle singole persone (come richiede a gra forza invece la personalità citica di Giulia,doppiamente critica,in quanto russa sposata ad un arabo in Francia: spaesamento doppio e sensibilità accresciuta).

[56] L'aspetto ritmico della musica, che è strettamente collegato alla danza, è molto antico, forse il più antico in assoluto: non a caso i tamburi e altri strumenti percussione, che essendo a suono indeterminato, possono produrre solo ritmi, sono i primi strumenti musicali conosciuti, e sono presenti anche presso le culture più primitive. Questo è indubbiamente dovuto al fatto che suoni ritmici (il tamburellare delle gocce di pioggia, lo scrosciare di un ruscello, il canto degli uccelli) sono presenti in natura e ben si prestano ad essere imitati.ma alla base c’è ancor prima del ritmo esterno al corpo, quello di ritmo interno,quello biologico legato a quello di orologio endogeno, di auto-oscillatori, di servo-meccanismo e di omeostasi,insomma a un intero sistema localizzato a livello subcellulare e propriamente al complesso DNA e RNAm e associato alle reazioni per la sintesi delle proteine. Tempo chiastico,in cui l’attimo è sempre collegato al passato e al futuro tramite le pause.

[57] Sloterdijk

[58] Quando Secondo entra per la prima volta nel ristorante di Pascale, si vede P. impegnato a creare una sorta di spettacolo con pentola fuoco e musica, suscitando la chiassosa partecipazione dei clienti. Non secondario è anche il nome del ristorante: Grotto, non Grotta ovviamente, con adattamento fonetico e antropologico alla lingua e al gusto della clientela. Antro, abisso di magia, misteri, alchimie..

[59] A rinforzare la rappresentazione di questo conflitto, interviene anche il topos della donna. In effetti,la totalità del senso del mondo è in genere identificato da tutte le mitologie nella figura (complessa) della donna: nelle forme più o meno idealizzate di ‘oggetto del desiderio’ in effetti essa è sempre un pretesto (maschile9 per parlare metaforicamente del mondo, sia nella sua forma epistemica, sia nel suo sistema di valori. K e X sono presenti nel film quali coppia oppositiva di oggetto del desiderioo di Secondo, a rappresentare la sua condizione di dubbio: l’una interpreta l’ideale dello spirito (S. resiste alle sue avance sessuali per rinviare il consumo al momento del matrimonio),l’altra rappresenta l’attrazione del fascino pulsionale della jouissance, fuori di ogni norma. Insomma da una parte l’anima (la mente, la capacità di controllo, di investimento nel lungo periodo),dall’altra il corpo (con tutta l’urgenza del piacere immediato); quindi è facile continuare con le consuete opposizioni di ideale / reale, e di identità / flessibilità, proprio come nel caso del cibo.

[60] In una delle prime scene c’è appunto lo scontro tra la proposta dei fratelli e la richiesta di una cliente: intanto lei si lamenta di non poter riconoscere gli ingredienti di cui si parlava nel menu, e poi richiede spaghetti come contorno per un risotto ai frutti di mare. Secondo tenta di convincerla con le argomentazioni di tipo addirittura scientifico (carboidrati che fanno a cazzotti con l’amido), immaginando di poter così parlare il linguaggio dell’americano. Ma infine cede e a sua volta si scontra con il fondamentalismo furioso del fratello che non vuole cedere su questo scadimento.

[61] Baudrillard

[62] In effetti pur integrato nel mercato, mantiene della tradizione la tendenza a dominare, a creare servitù, a stabilire gerarchie sociali certo ‘nuove’ bastae in fondo sul ‘merito’ (schema liberistico e liberale dell’efficienza). Solo che invece del vero e proprio merito, della qualità nello specifico (cucinare) esercita la violenza del ricatto, la legge del più forte: insomma l’asimmetria sociale tipica della ‘patria’ d’origine da cui i fratelli vogliono, come lui, fuggire.

[63]Pascal ha capito che ogni alimento nuovo (come è il cibo italiano in America, quello arabo in Italia ecc.)va reso simile a quelli vecchi,adeguato al codice alimentare vigente,ovvero gli va data una forma che lo renda ‘proprio’ dell’ambiente altro, attraverso un processo di autenticazione che lo renda autoctono,locale, “genuino”, così come avviene quando una parola straniera viene “accolto” in una lingua. Il terminegenuino infatti rinvia non ad una realtà biologica,ma all’atto formale con cui il padre, nelle comunità indoeuropee, prendeva sulle ginocchia il proprio figlio, accettandone la paternità, e introducendolo nella società:genuino è quindi un cibo solo se e quando viene formalmente riconosciuto dalla società.il che comporta appunto la sua naturale ,di fatto, artificiale: basti pensare al nome di Montepulciano che viene assegnato da tempo al vino abruzzese doc più famoso. Montepulciano si trova in Toscana..

[64] Come appunto accade nel caso delle pratiche della scienza: essa elabora le sue proposizioni, discorsi, mettendo tra parentesi i giudizi morali ed estetici,nella ‘fede’ di una precisa corrispondenza tra questi ‘discorsi’ e l’ontologia.

[65] Il concetto di crimine ovviamente rinvia oltre che al campo della morale anche a quello del diritto: il punto decisivo al riguardo è che ‘dipende’ dal singolo cosa vuole fare, non è inevitabile fare quel che ci viene dalle abitudini o dalle pulsioni

[66] Se adotto l’inglese come lingua in luogo del mio linguaggio nativo, è necessario adottare le regole dell’inglese…e così via per tutte le situazioni

[67] Dal punto di vista del cliente si attiva però un fondamentale meccanismo antropologico: ingoiare qualcosa che non si conosce, che non si riconosce, significa far traballare la propria specifica identità di persona che ‘è’ quel che è perché appartiene a una ‘cultura’, cioà a precise pratiche sociali,tra cui la scelta e la modalità del cibo.

[68] Naturalmente lo spettatore di oggi percepisce in mondo opposto questa gerarchia. Ordinaria è la dura realtà del mercato (addirittura globale, ovvero tanbto esteso da non lasciare nemmeno la possibilità di immaginare un altrove diverso) e straordinaria è appunto la società ‘statica’ di ‘valori’ immobili, dell’ io devo

[69] Peter Sloterdijk, Critica della ragion critica, Raffaello Cortina,2013l

[70] La polarità si ripete nelle relazioni con la donna: la famiglia (un presente che prepara il futuro, parsimonia cfr. sesso solo al momento ‘legale’) e la jouissance (consumo in situazione, piacere nel presente)

[71] Ideologia americana del self made man: è il fascino di questa prospettiva che può spiegare il motivo per cui la stragrande maggioranza dei migranti rimane infine, dopo traversie dure, nel Nuovo Mondo. L’autoaffermazione, la libertà intesa come ‘potere’ su di sé (e prima o poi anche sugli altri)

[72] Lacanianamente la rappresentazione che ha del divenire,non certo l’ontologia

  • [73] lo sfondo non il primo piano contiene il senso (e in generale è appunto in quello che meno appare che si nasconde la vera qualità personale ;anche nel caso di Miles la sua specificità non è nel lavoro di insegnante ma nella mania per il vino; non la superficie ma quello che è nascosto;il dettaglio dice in termini olistici la verità)

[74] Insomma Maja ha compiuto il viaggio dell’eroina,al contrario della madre di Miles. All’inizio si è avvicinata al modello maschile (ha copiato il marito nel suo uso sociale del vino come strumento di controllo nelle relazioni, ma poi ha virato per la difficle differenza, per la scoperta della conoscenza, per la via femminile alla costruzione dell’esistenza. Come dice M.Murdock “il compito dell’Eroina contemporanea è respirare più conoscenza … capace di navigare le acque della vita terrena e di ascoltare gli insegnamenti degli inferi … lei è l’altro. Grazie al suo viaggio donne,uomini e bambini vengono trasformati in esseri umani migliori e più completi”

[75] Fuga dal tempo quindi,dall’entropia: in effetti per la fisica quantistica il tempo non esiste;esistono solo le relazioni tra elementi, relazioni che creano appunto tempo.

[76] È lo schema omeostatico che sta all’origine di ogni forma di collezionismo, hobby. Piccole isole di totalità, entro cui non ci sono sorprese, dove le categorie sono stabili, le relazioni sono ben identificate e l’unica opera continua di routine è semplicemente classificare, ri – conoscere qualcosa, immetterla nella casella giusta, già bella e pronta a dar sen so a qualunque elemento del sistema

[77] Il possesso o meno di schemi o frame ti consente di vedre quelo che prima c’era ma non potevi vedre perché non avevi glio occhiali, gli strumenti adatti per rilevarli (appunto la metafora del canocchiale o del microscopio..)


 
 
 

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